venerdì 24 agosto 2012
Durante la Western Electronic Show and Convention tenutasi a San Francisco nel settembre 1975 si incontrarono molte persone, questi eventi vengono organizzati per questo, ma due di loro diedero vita ad un incontro che con il senno di poi fu il più fondamentale del decennio e di quello seguente. Chuck Peddle, aveva da poco ultimato la sua creatura il MOS 6502, un microprocessore a 8 bit. Il 6502 non era il primo microprocessore della storia e nemmeno il primo a venire presentato al pubblico, ma sicuramente era il meno caro: costava meno di 25$ e c’era la fila per comprarlo. Il prezzo era talmente allettante che Steve Wozniak, allora venticinquenneenne e uno tra i tanti in fila, decise di comprarne una manciata, compreso il manuale da 5$, per usarlo in un computer che aveva intenzione di costruire: quel computer avrebbe preso il nome di Apple I.
Wozniak prese il processore, Peddle mise in tasca i dollari. Si è portati a penasare che la rivoluzione più importante degli ultimi decenni sia il frutto dell’evoluzione tecnologica delle grandi aziende informatiche, ma non andò per niente così. Ibm, Dec, Hp, anche Xerox, ne avvertirono gli effetti solo diversi anni dopo, alcune riuscirono a recuperare il terreno perduto, altre no. L’informatica non era una scienza nuova, aveva ormai più di 30 anni e alcune aziende erano già dei colossi nel loro settore: una per tutte Ibm. Il computing era una pratica iniziatica e tenuta segreta. Ma negli anni ’60 l’idea che qualche segreto potesse essere tenuto sotto chiave cominciava a vacillare. Al Massachussets Institute of Technology alla fine degli anni ‘50, giovani hackers scalpitavano per essere ammessi al cospetto del locale cervellone elettronico.
Questi primi hackers stazionavano fuori dalla porta in attesa che qualche turno di utilizzo saltasse, ma il più delle volte avevano accesso alla macchina nelle ore notturne. In questo clima si definisce l’etica degli hackers: l’accesso ai computer deve essere totale e illimitato, non ha senso limitare la conoscenza verso la computer science. Inoltre: le informazioni devono essere disponibili liberamente perchè un hacker deve poter migliorare ciò che ritiene inadeguato; e infine: i computer possono cambiare la vita di tutti in meglio. Questi primi hackers lasceranno poi il Mit muovendosi verso la west coast e portando con sé la loro etica in un ambiente dove prenderà una forma del tutto particolare. La rivoluzione degli home computer comincia infatti nella Silicon Valley al capo opposto degli Stati Uniti rispetto al Mit di Boston. Il motivo ha nome e cognome: Intel e controcultura. Quello delle calcolatrici verso la fine degli anni ’60 è un eccellente mercato di massa, dove la miniaturizzazione può fare la differenza. Ted Hoff, chip designer alla Intel, se ne viene fuori con un’idea: perché non racchiudere in un unico chip tutte le funzione svolte dai diversi chip logici che compongono una calcolatrice?
È il 1969 e la logica della miniaturizzazione e l’idea di Ted Hoff hanno appena ammazzato main frame e minicomputer in un colpo solo, ma le conseguenze saranno tangibili solo nel decennio seguente. Sarà Federico Faggin nella primavera del 1970 a rendere questa idea una realtà, realizzando il prototipo dell’Intel 4004, il primo microprocessore della storia, con un’architettura a 4bit. Calcolatrici tascabili e orologi digitali diventano gadget irrinunciabili per una nuova generazione di nerd, nati e cresciuti con i serial di Star Trek e Spazio 1999, e poco più tardi con i film di Star Wars, mentre fioriscono un po’ ovunque quei veicoli di computer culture che furono le sale giochi. Ogni ragazzino nato negli anni 60 e 70 comincia a sognare il momento in cui potrà interrogare un computer direttamente dalla sua cameretta e operare subito dopo un balzo a velocità luce verso Alderaan. Questi nerd saranno le vittime, più che consenzienti, della home computer invasion, ma sono una nuova generazione, nata in era digitale e sci-fi: sono la 8bit generation; nerds e hacker che di questa invasione sono stati gli artefici, sono di un’altra generazione, o meglio di altre due e ben distinte.
Eppure Woz più che cambiare il mondo a sua immagine, avrebbe voluto entrarci a buon diritto: più di una volta insisterà con i suoi datori di lavoro di HP perché producano il “suo” home computer, ma questi risponderanno sempre di no. Persone come Woz, Jobs, Gates e Allen, oppure come Sinclair in Inghilterra e Peddle negli USA hanno tutta la fretta che le grandi corporation non avevano. Ed è comprensibile: perchè cambiare un modello di business vincente e altamente remunerativo? Se non costrette IBM, DEC e General Electric non lo avrebbero mai fatto. Chi ha fretta? Chi spinge avanti la storia con un balzo? Outsiders e wonnabes. Gente che per vari motivi sentiva l’urgenza di entrare nel business, di fare palate di soldi, di cambiare il mondo o solo la propria esistenza, oppure solo di sfidare il sistema. Verso Natale del 1974 Les Solomon avvicina sua figlia che sta guardando Star Trek alla televisione: “come si chiama il computer dell’Enterprise?”, la ragazzina ci pensa un po’ “computer”. Les Solomon sta cercando un nome interessante per il computer che sta per mettere in copertina sulla prossima edizione del suo giornale:”perché non lo chiami Altair? È lì che sta andando l’Enterprise questa sera” taglia corto la figlia. Nel gennaio del 1975, come una pentola a pressione ormai fuori controllo, la scena del personal computing esplode letteralmente. Sulla copertina di Popular Electronics campeggia la fotografia di un microcomputer, l’Altair 8800, prodotto come kit di montaggio da una ditta del Nuovo Messico chiamata MITS e un articolo di Les Solomon che annuncia che il mondo è entrato in una nuova era. Il computer costa 397$, occorre pagarlo in anticipo e poi aspettare di ricevere le parti
L’Altair non ha tastiera, non ha monitor, ha 256byte di memoria, non ha memoria di massa, stampante, niente di niente. L’Altair si programma dal pannello grazie ad una serie di interruttori e la risposta della macchina si può dedurre dal lampeggio delle lucette del pannello medesimo, eppure gli ordinativi arrivano a migliaia. Nel gennaio del 1975 Bill Gates cammina nel campus di Harvard leggendo Popular Electronics e un solo pensiero gli gira per la testa: “rischiamo di arrivare tardi”. La visione di Gates e Allen è:”un computer su ogni scrivania con dentro software scritto e venduto da Micro-Soft”. Dopo poco tempo Allen lascia il suo lavoro alla Honeywell per andare ad Albuquerque a implemantare il BASIC sull’Altair. Gates resiste ancora qualche giorno ad Harvard prima di mandare all’aria la sua istruzione ed entrare nella storia. Nel Nuovo Messico Gates e Allen trovano un ambiente completamente caotico dove c’è bisogno di tutto: l’Altair non ha software di nessun tipo, non ha controller per le periferiche e ovviamente non ha nemmeno le periferiche. La hacker ethic sta per scontrarsi con il business nascente del personal computer: condividere le informazioni vuol dire copiare liberamente il software scritto da altri? C’è differenza tra prendere in esame un software per migliorarlo e rimetterlo a disposizione di tutti e fare copie pirata del BASIC di Micro-Soft? Bill Gates pensa che ci sia differenza.
Nel 1976 Gates scrive una lettera aperta agli hobbysti di tutta l’america; il concetto è chiaro: per scrivere il BASIC ci sono volute ore e ore di lavoro e diverse persone sono state pagate per questo lavoro, cosa vi fa pensare che possiate non pagare nulla per possedere e usare una copia del programma? Il 1977 è il momento, a soli due anni dall’uscita dell’Altair, in cui il movimento hobbystico raggiunge il suo apogeo e viene subito spazzato via dai “big boys”. Paradossalmente Chuck Peddle e Steve Wozniak che contrattano un microchip per 25$ e Bill Gates con la sua letterina stizzita sono i nuovi “big boys”: in loro non c’è nessuna forma di ideologia o di etica hacker, non ricordano nulla degli anni ’60, ma stanno guardando direttamente verso gli anni ’80.
di Tommaso Walliser