Thomas Bernhard, tra poesia e memoria

venerdì 17 agosto 2012


Thomas Bernhard è stato uno scrittore fra i maggiori della cultura mitteleuropea del secolo scorso. Secondo il giudizio di Pietro Citati, la sua opera è pervasa da un’immaginazione cupa e disperata e da una violenza nichilista che, insieme, esprimono e danno forma al pessimismo malinconico di questo grande scrittore. L’editore Adelphi ha recentemente pubblicato l’Autobiografia dello scrittore austriaco, che si compone di cinque capitoli.

In primo luogo, è necessario chiarire l’intimo rapporto esistente in questo grande libro tra poesia e memoria, poiché i fatti narrati non seguono uno svolgimento cronologico, bensì sono recuperati dal passato e restituiti sulla pagina, grazie ad una scrittura elegante e poeticamente sublime, come attimi essenziali, che hanno segnato i primi anni di vita dello scrittore. La bellezza del libro è dovuta a questi bagliori di poesia con cui malinconicamente Bernhard racconta la sua vita. Nasce a Rotterdam, poiché la madre venne costretta a lasciare l’Austria, dopo che fu abbandonata dall’uomo con cui aveva concepito Thomas, il futuro scrittore. Lo scrittore non avrà, durante la sua vita, né la possibilità di conoscere né tantomeno di incontrare suo padre, un fatto che segnerà la sua esistenza. In compenso Thomas avrà nel nonno materno, uno scrittore raffinato ed un letterato di grande cultura, la guida che lo aiuterà a capire il mondo e a comprendere il valore dell’arte, della letteratura, della scrittura e della bellezza umana, declinata nei suoi diversi linguaggi espressivi.

Come racconta nel capitolo della autobiografia intitolata Il Bambino, all’età di quattro anni, mentre si trovava a casa dei nonni nella campagna austriaca, Bernhard perde il suo compagno di giochi. Da questo momento, per dare un senso alla sua sofferenza, si reca sulla tomba dove giace privo di vita il suo compagno, invocandone il nome e pregando per lui, e qui, in tenera età, inizia la sua riflessione sulla brevità della vita e sul mistero insondabile dell’essere e della morte. Nella fase dell’adolescenza, nella città di Salisburgo, durante il regime fascista, viene rinchiuso in un collegio, luogo odiato da Bernhard, poiché vi regna un clima intriso di autoritarismo e di ipocrisia. La scuola, che dovrebbe favorire lo sviluppo della personalità di un individuo, in quel tempo gli appare come una istituzione capace di annientare le attitudini di ogni studente.

Durante gli anni della sua adolescenza, all’epoca del regime nazista e dopo che l’Austria era stata annessa alla Germania Hitleriana, la società di Salisburgo gli appare fondata sulle apparenze ovvero sul culto esteriore della bellezza e della musica. Nei momenti di disperazione, per vincere la tentazione del suicidio, da cui si sente sopraffatto, si rifugia nella musica, suonando il violino con grande intensità. L’amore per la musica, in particolare per Mozart ed il suo Flauto Magico, darà allo scrittore una grande ed immensa consolazione. Deludendo il nonno scrittore, Bernhard abbandona la scuola e decide di iniziare a lavorare come garzone in un negozio di alimentari, situato nella periferia di Salisburgo. In questo luogo, abitato da un’umanità povera e dolente, scopre le contraddizioni della società umana, divisa tra quartieri eleganti e raffinati, ed altri, invece, che sono degradati e invisibili.

Questa attività lavorativa dura e faticosa gli scatenerà una malattia ai polmoni, a causa della quale Bernhard finirà in Ospedale, dove rischierà di morire, ed in seguito in un sanatorio, collocato in alta montagna, che ricorda quello descritto da Thomas Mann nel libro La Montagna Magica. Per Bernhard sono proprio i luoghi di sofferenza, come gli ospedali e le carceri, a favorire la riflessione filosofica sulla condizione umana. Infatti in questi luoghi, con l’animo rattristato per la perdita del nonno, Bernhard assiste alla disperazione ed alla solitudine dei malati, che affrontano la dura prova della malattia e della morte. In molte parti della sua autobiografia, Bernhard lancia i suoi strali polemici sia verso l’ideologia nazionalsocialista, dimostrando che godette di un ampio consenso tra la popolazione tedesca e quella austriaca, sia verso il cattolicesimo, verso il quale lo scrittore aveva maturato un’invincibile avversione filosofica.

Influenzato dal nonno scrittore, scopre nella prima parte della sua vita le opere di Montaigne, di Goethe, di Shopenhauer, di Nietzsche, di Wittgenstein. Proprio la frequentazione di queste opere lo convince e lo persuade che il mondo si presenta, al cospetto dei nostri sensi, come un enigma sigillato, sicchè spetta alla ragione umana sciogliere e chiarire questo mistero inafferrabile. Nella parte filosofia della sua autobiografia, Bernhard con grande lucidità intellettuale riflette sulla dolorosa circostanza che il mondo trasuda brutalità, malvagità, ipocrisia, crudeltà, mancanza di pietà e compassione. Tuttavia, come il nonno gli suggeriva, abituandolo  a ragionare con la sua testa in modo autonomo, bisogna gettare e proiettare lo sguardo sulla realtà umana e sulla natura, per cogliere la presenza di quanto   appartiene alla dimensione di ciò che è eccelso e sublime. Infatti grazie alla cultura, il dolore umano, provocato dalla insensatezza del mondo, diviene sopportabile e comprensibile.

Come osserva Bernhard in alcuni momenti della sua riflessione, ogni nostro giudizio rischia di essere viziato da un errore, poiché, e questo pensiero dello scrittore rivela la influenza che su di lui ha avuto Wittgenstein, non sempre il linguaggio umano riesce a dare forma compiuta ai pensieri che si formano nella nostra mente, limitata e circoscritta al mondo visibile, così come viene percepito dai sensi umani. Da questa autobiografia emerge tutta la sofferenza umana di questo grande scrittore, che vive senza conoscere il padre, perde la madre quando ancora era giovanissimo, assiste alla morte del nonno amatissimo, da cui aveva ricevuto una solida formazione intellettuale e che muore senza conoscere il successo. Questa mescolanza di furia polemica e di profonde riflessioni sulla condizione umana costituisce la cifra poetica che definisce lo stile di questo grande autore, uno dei principali interpreti del pensiero mitteleuropeo e della crisi spirituale del novecento.


di Giuseppe Talarico