Questa volta Sgarbi ha torto

domenica 22 luglio 2012


La demolizione avvenuta per cariche di dinamite del palazzo municipale di Sant’Agostino, gravemente danneggiato dal terremoto, ha fatto infuriare comprensibilmente Vittorio Sgarbi. Comprensibile ma non ragionevole questa volta l’opposizione del nostro valoroso critico d’arte rispetto un provvedimento demolitorio che giudico, sebbene da lontano e su basi fotografiche del tutto giustificato vista l’entità dei danni subiti dall’edificio. Sono stato immediato anticipatore di questa soluzione, propedeutica alla ricostruzione, in occasione del terremoto de l’Aquila.

Questa città, da me accuratamente visitata subito dopo il sisma, non ha alcuna possibilità di essere ricostruita senza che si intervenga con atti simili a quello che ha riguardato il municipio di San’Agostino. Non ha alcun senso infatti tentare di rimettere pietra su pietra (è il caso di dirlo visti i materiali con cui queste costruzioni sono stati edificati) edifici abbondantemente devastati, non importa se da terremoto o da bombardamenti aerei. Ridare ad essi la veste originaria dotandoli contemporaneamente di salvaguardie antisismiche è una contraddizione in termini. Sarebbe necessario infatti lavorare sulle fondazioni lesionate, costituite generalmente di mattoni o pietrame a sacco, andando al di sotto delle fondazioni stesse con opere in cemento armato antisismico; bisognerebbe poi rinforzare l’edificio lesionato senza alterarne l’aspetto (?), per poi ricucire le murature lesionate con tutte le opere accessorie.

Tutto è possibile ma non altrettanto ragionevole per tempi e per costi. Senza interventi di demolizione sapientemente selezionati, i cittadini de l’Aquila staranno per decenni fuori dalle loro case, cosa che è allo stato attuale e, successivamente, non saranno mai sicuri di una loro tenuta in caso di ulteriori e sempre possibili eventi sismici. Quello che ho definito il “metodo Dresda” prende esempio da ciò che è avvenuto in Germania dopo la fine delle seconda guerra mondiale. In pochi anni gli edifici maggiormente rappresentativi di Berlino, come di Colonia o di Dresda, vennero ricostruiti così da poter conservare la memoria storica del passato architettonico germanico, mentre nel contempo la città nuova era alacremente edificata per nuove e moderne esigenze, così da diventare attrazione turistica oltre che città viva e civilmente fruibile. Terremoti e incendi devastanti nessuno li va a cercare, ma una volta avvenuti sono sempre serviti a migliorare l’ambiente urbano rendendolo maggiormente consono alla realtà del momento. Il duomo di Dresda è significativo per come sia possibile ricostruire fino al più piccolo dettaglio ciò che è stato distrutto. L’antichizzazione dei materiali da rivestimento consente di conservare l’esatta immagine di ciò che era poggiata su una struttura solida e, nei casi che ci riguardano, antisismica. I puristi del restauro dei monumenti sono fautori di un conservatorismo a tutti i costi (è il caso di dirlo) sostenendo che l’opera ricostruita sia un falso architettonico. Nulla di più errato! Falsa è la Venezia costruita in un parco giochi americano.

Ma se la città venisse giù in forza di una catastrofe naturale, che forse la sua ricostruzione rapida e in copia identica all’originale potrebbe essere considerata come la Venezia americana? La risposta è no! Noi Venezia, come tutto il nostro grande patrimonio architettonico ce l’abbiamo, non lo abbiamo importato, semplicemente ne preserveremmo, ricostruendolo dalle fondamenta, il progetto, la civiltà che esso ha rappresentato e rappresenta, la storia. Per quanto riguarda l’Aquila e le sue civili abitazioni, come le civili abitazioni delle città emiliane e i rispettivi edifici pubblici altamente lesionati, la loro demolizione, non altererebbe ad esempio i diritti di proprietà dei singoli, ampiamente rappresentati in catasto, ma consentirebbe come dicevo una apertura verso un percorso di ricostruzione di ciò che era (ormai abbiamo i prospetti di tutti gli edifici) ovvero verso una scelta di modernità. Su queste tematiche il dibattito si può costruttivamente aprire dopo che però sia stata posta la parola “fine” a polemiche che servono esclusivamente a portare soldi nelle casse di coloro che danno in locazione i ponteggi degli edifici terremotati e a lasciare gli ex abitanti in strutture provvisorie per lunghi anni.


di Giuseppe Blasi