Il Premio Strega racconta le nostre vite

domenica 3 giugno 2012


A proposito di "Sboom!". 

"Le nostre vite senza ieri" (Editore RCS Bompiani) di Edoardo Nesi - Premio Strega 2011- è un libro che il premier Mario Monti dovrebbe tenere in bella vista sulla sua scrivania di Palazzo Chigi. 

L'opera è, in realtà, una dolorosa scoperta sulla condizione dei giovani d'oggi, candidati alla precarietà a vita e abbandonati a se stessi da un sistema produttivo che li vuole semplici consumatori passivi. 

In precedenza, con il libro premiato allo Strega, "Storia della mia gente", Nesi si era raccontato e aveva narrato del popolo operoso di Prato, oggi città implosa e "cinesizzata". 

Piccoli industriali tessili, operai, persone comuni, quei pratesi di allora, con un semplice sogno in tasca (poi realizzato, attraverso un durissimo lavoro senza soste): affrancarsi dalla miseria dei padri, costruendo un avvenire migliore per i figli. 

L'autore si trova, oggi, a camminare sopra un cimitero di lapidi, che portano inciso il ricordo di quella miriade di micro-imprese, così ricche di umanità e di talento, scomparse dopo gli anni d'oro del tessile "Made in Italy" (autentico!). 

La causa? L'imperante globalizzazione, nuovo nemico "globale" di giovani e vecchi italiani, alle prese con un futuro di decrescita economica, disoccupazione e smarrimento. 

Per la prima volta, infatti, dall'inizio dell'era industriale le generazioni presenti e future si troveranno a stare peggio di quelle che le hanno precedute, senza che vi siano state guerre o catastrofi naturali alle quali poter dare la colpa!

In realtà, in tutto questo, il vero sconfitto è il "valore lavoro", che non è nulla, se privato dell'intelligenza e della cultura che lo hanno accompagnato in passato. 

Nesi, in questo, coglie in pieno il dramma contemporaneo: non sono i lavoretti più o meno precari (cameriere, hostess, dog-sitter, etc.), che i giovani possono trovare nel settore dei servizi, a costruire la vera ricchezza di un paese e a far crescere l'economia. 

Per farlo, ci vuole la fatica del lavoro di operai e imprenditori, che creano con le loro mani prodotti, beni materiali duraturi e di qualità, da vendere sui mercati di tutto il mondo. 

Anche le immense potenzialità della Rete vanno bene, purché accompagnate dal genio e dal gusto creativo. Il resto è solo povertà mascherata, per assicurare uno straccio di reddito, a sostegno di consumi prevalentemente superflui. Così si svuota, attraverso il mancato ricambio generazionale, la vena creativa di tutto un Paese. 

L'Italia, preda delle convulsioni borsistiche, in fibrillazione per lo "spread", è vittima senza scampo di un sistema finanziario gestito dai "Poteri forti" (banche e speculazione internazionale) che, con la scusa dell'Europa - mai tanto matrigna - hanno mandato persone di loro fiducia a presidiare i governi e le istituzioni dei Paesi dell'Ue più a rischio di "default" e coi bilanci in disordine, a causa del loro costoso "welfare"!

Mi siano concesse alcune, rapide riflessioni. 

La colpa di quanto ci sta accadendo viene da lontano, dall'inizio del XX secolo, quando Gropius, il Bahaus, il cemento armato e l'acciaio introdussero il mito della serialità: produrre in quantità illimitate uno stesso, magari bellissimo oggetto di design o di immobile, che tutti possono acquistare o abitare, grazie ai bassi costi di produzione. 

I cinesi hanno presto appreso la lezione, copiando approssimativamente i prodotti dell'Occidente, per rivenderli a prezzi nulli sui nostri mercati interni europei e americani. Conclusione: un vero disastro, per la pessima qualità dei beni commerciati. 

La punizione dei consumatori delusi, almeno qui in Italia, è arrivata puntuale. Basta farsi un giro per il quartiere cinese di Piazza Vittorio, a Roma, dove nessun italiano entra più ad acquistare quella montagna di paccottiglie e di tessuti vari, made in China.  

Vorrei rispondere al grido di dolore di Nesi proponendo di sfilare per sempre la "serialità" dalla nostra vita quotidiana, in modo da creare un numero elevato di posti di lavoro per "riparatori". 

Prendiamo l'I-phone: il suo altissimo valore aggiunto è il software, mentre l'hardware può restare per molto tempo sempre lo stesso! 

Torniamo, quindi, a produrre oggetti ad alto valore aggiunto di manodopera esperta e di know-how e ci salveremo! 

Formiamo milioni di artigiani riparatori per la manutenzione di prodotti di altissima qualità, destinati a durare decenni, anziché pochi mesi! Vogliamo la piena occupazione? Ebbene, concepiamo il territorio, le città, il paesaggio come un unico sistema biologico: montiamo e rismontiamo periodicamente, cambiando intimamente il diritto di proprietà fondiaria e immobiliare, in modo da poter mettere negli spazi urbani rinnovati il meglio delle scoperte e delle tecnologie fino ad allora maturate. 

Coraggio, non è poi così tanto difficile!


di Maurizio Bonanni