Poca roba, e rovinata dal doppiaggio

mercoledì 30 maggio 2012


Quel poco di buono che c'è nel film di David Cronenberg, Cosmopolis, tratto dall'omonimo visionario romanzo di Don De Lillo del 2003, lo distrugge il doppiaggio italiano del film. E la recensione potrebbe anche finire qua. Quelli che sono abituati a leggere solo i titoli e poche righe dell'attacco del testo, cioè la stragrande maggioranza degli italiani, si fidino: Cosmpolis è una vera delusione. I dialoghi e l'adattamento riescono a ridicolizzare le intuizioni apocalittiche di De Lillo sulla fine del capitalismo («c'è uno spettro che si aggira per il mondo») e quelle rivolte contro la finanza globale, rappresentata da Eric Packer, un golden boy del settore che vive nella propria limousine bianca, che nel 2003 potevano sembrare profetiche, oggi appaiono del tutto scontate alla luce di quanto accade nella realtà di tutti i giorni. La trama del film sarebbe la "ybris" di questo personaggio a tinte fortemente negative e interpretato dall'attore cult della saga dei vampiri, Robert Pattinson, con comprimari dal calibro di Juliette Binoche, il quale sfida le esigenze di sicurezza di un apparato mostruoso che si è costruito intorno alle proprie fortune per andare a rifarsi il taglio dei capelli dall'altra parte di New York, dal barbiere da cui lo portava il padre da bambino. New York nello scenario apocalittico immaginato da De Lillo è ormai una città assediata dagli indignados, che sono anche un bel po' violenti e che più volte assaltano e imbrattano la limousine super blindata in cui il finanziere demarca la propria distanza dall'umanità. 

In un'intervista De Lillo si dice  contento che a riprese del film quasi finite sia emerso il movimento "Occupy Wall Street". Poi dice che è «solo l'inizio» e che ritiene «non sia finita qui». Infine cita il personaggio del film Vija Kinski, interpretata da Samantha Morton, cioè «la responsabile della teoria di Eric Packer», in crisi esistenziale dopo essersi rotto le corna speculando contro lo yuan, e si dimostra entusiasta del fatto che la donna spighi al suo capo «che le persone che protestano sono il frutto di Wall Street e del capitalismo». Quello che è insopportabile però in un film che esce nove anni dopo una premonizione letteraria è la banalizzazione da telefilm, complice come si diceva il doppiaggio italiano, che ne viene fuori. De Lillo si consola con la sua nuova carriera di scrittore di testi per rapper, nei titoli di coda si nota che sono sue le parole per il rapper Sufi, ma gli spettatori in sala difficilmente si libereranno da un insopportabile senso di deja vu. Frasi come «tu hai bisogno di essere eccitato, è la tua natura» o «tu riesci a ottenere informazioni e le converti una materia orribile», vanno bene nei fotoromanzi stile Grand Hotel. Quanto alle battute che qua e là fanno fare qualche sghignazzata, una volta riportate in italiano andrebbero benissimo in un film di Fantozzi. Ma se vuoi far ridere qualcuno non usi attori come il bello e pallido protagonista della saga dei vampiri e, soprattutto, non scegli un regista come Cronenberg.


di Dimitri Buffa