domenica 6 maggio 2012
Sergio Cammariere: questo è il titolo dell'ultimo album
dell'artista crotonese. Come se si ripresentasse nuovamente al suo
pubblico. Copertina da mani in tasca e aria da poeta di altri
tempi. Perché in giro di poeti se ne trovano pochi e di artisti che
riescono a sollevare il pianoforte con un dito (tanta è la bellezza
e la grazia con cui viene suonato questo strumento), se ne trovano
ancora meno. Ci dispiace dirlo per gli altri, ma quando Cammariere
salì sul palco del Festival di Sanremo l'aria intorno era sprecata
per lui ed il pianoforte, che un'anima possiede, avrebbe voluto
avere rotelle per camminare e scappare via.
Cammariere viene da Crotone, splendida città del Sud, perla e
madre del Mare Ionio. E se sei abituato al mare, perché il mare è
malattia fatta abitudine, non puoi farne più a meno e lo riporti
con te in tutto ciò che fai. E ascoltando l'album, un po' a testa
bassa, con la riverenza dovuta alla bellezza pura, non
vengono alla mente atmosfere jazz e fumose. Quella di Cammariere è
aria pulita, vento caldo e tramonti fatti di volti che racchiudono
sguardi d'amore - «Hai gli occhi degli occhi dell'alba che viene
per noi (Controluce).
Poi ascoltando brani come Ogni cosa di me Controluce o Il Principe
Amleto si ha la sensazione che la musica, le parole, e quella sua
voce che si muove contraria a tutto ciò che va di fretta, riescano
ad entrare in una bottiglia di vetro dove per un istante si riesce
a catturare il tempo («Fermo il tempo per noi e tu non ci credi»).
Piena solarità e tempi "agitati", invece, per il brano
Transamericana che riporta al samba e alle atmosfere latine, di
tempo passato alla ricerca del cuore felice perduto e della notte,
che è donna e che ridona speranza e preghiera. Proprio come nel
brano La mia felicità, che racconta di un amore che non chiede
altro che un "sì", poi il resto, quello che è futuro verrà da sé.
L'importante è solo iniziare e lasciarsi alle spalle le difficoltà.
Per poi rendere omaggio ad un altro grande della scena brasiliana -
il del poeta, cantante e drammaturgo Vinicius De Moraes - nel brano
Come è che ti va. Quasi fuori dall'album è il brano strumentale
Thomas, composto per pochi o solo per il piacere di essere
suonato.
La dinamica del sogno è presente in ogni melodia che Cammariere
ha composto. E questo vale anche per i suoi album passati. Non
perché sia un modo di sfuggire dalla realtà ma perché - come in un
film dai tratti felliniani - tutto ciò che la realtà ti impedisce,
in un qualche modo il tuo corpo e la tua anima devono riviverlo nel
sogno. Il sogno, insomma, come un prolungamento della propria
speranza. È quasi impossibile ascoltare l'album in mezzo al
traffico o all'isteria generale che ci circonda. L'arte di
Cammariere è fatta di calma, di stati d'animo con le mani in tasca,
di piccoli sussurri del vento. Di mari agitati e di calma
apparente. Come guardare un orizzonte immutabile a Capocolonna,
vicino Crotone, dove la storia domina i tempi e dove una colonna,
appunto, riesce ancora a tenere in piedi quella dignità che
appartiene a popoli perduti ma non dimenticati.
A differenza di suo cugino Rino Gaetano (ricordato dai giornali
solo per il ventennale e poi nuovamente "abbandonato"), Cammariere
non esprime rabbia e voglia di "prendere in giro". La sua musica è
un guardare il mare con l'occhio implacabile di chi si ferma e
passeggia, mentre la sua voce "schiumosa" sbatte sul piano come
l'acqua che si infrange sulla spiaggia e torna indietro. È una
musica, quella dell'artista calabrese, senza smania di vittoria.
Alla fine tutti raggiungono il traguardo e forse, almeno nell'arte,
non è importante arrivare prima degli altri. Tanta cura e armonia
invadono anche le "pagine" dell'album. Foto in bianco in nero di un
Cammariere sempre uguale, un po' con l'aria da moschettiere del Re
(ma senza spade). Lui ha solo il pianoforte e quel cappello in
testa che lo fa tanto "monsieur" di altri tempi. Come la dedica
finale a Pepi Morgia (regista e scenografo che ha curato tournèe di
grandi della musica come Ornella Vanoni, Paolo Conte, Ivano
Fossati, Patty Pravo, Mireille Mathieu, Elton John, David Bowie,
Roxy Music e Genesis).
La musica di Cammariere non è malinconia. Piuttosto nostalgica
di qualcosa che non c'è, che non c'è ancora mai stato. Ma non è
semplice da ascoltare: devi catturare il tempo, il tuo tempo, o
rinunciare. Come in amore, passato lo sguardo passa il ricordo.
Finito il ricordo non rimane che il nulla. Tutto rimane invece
rimane quando si ascolta l'ultimo brano, Essaouira, tutto musicale,
che porta alla mente costruzioni bianche che si gettano nel mare,
gente che cammina per i mercati affollati, colori, luci e storie
che il mondo "civilizzato" tenta di cancellare. Ma questo brano non
chiude l'album, anzi lo apre verso nuovi orizzonti.
Chi nasce al Sud è abituato a spalancare le finestre, ad
affacciarsi e a varcare confini. Questo Sergio Cammariere esce con
le mani in tasca dopo una tempesta, per rappresentare la quiete. E
ascoltandolo viene in mente l'astrazione di Wassily
Kandinsky, che invidiava alla musica l'indipendenza e la libertà
del mezzo espressivo, per lui «arte resa libera da ogni vincolo di
resa dalla realtà». Cammariere è uno dei pochi a far musica, uno
dei pochi ancora ad essere libero nelle sue epressioni. Uno dei
pochi artisti, insomma, per cui vale ancora la pena comprare un
album.
di Graziella Balestrieri