Da Buffy a The Avengers

martedì 1 maggio 2012


È l'uomo del momento, anche se la maggior parte dei lettori e spettatori non sanno chi sia. Joss Whedon è al centro dell'attenzione del mondo del cinema perché è il regista di The Avengers, il film di cui tutti parlano, il blockbuster supereroico di casa Marvel che riunisce un gruppo di eroi mascherati e con superpoteri per salvare il mondo.

Una specie di Signore degli anelli (esplicitamente citato nei dialoghi e nella musica di Alan Silvestri) dei cinecomic, che potrebbe essere uno dei pop corn movie dell'anno, in virtù dello spettacolo totale e sincero della seconda parte. Ma anche perché è lo sceneggiatore di Quella casa nel bosco - in sala dal 18 maggio -, forse il più trascinante, originale, spiazzante horror degli ultimi anni, sicuramente più farina del sacco di Whedon che di quella del regista Drew Goddard. Ma il regista, autore, produttore newyorkese arriva sul grande schermo come figura di culto del piccolo, in un percorso che parrebbe naturale, ma che data la crisi di Hollywood non lo è più.

Dopo un po' di praticantato nelle sitcom, Whedon si fa notare dagli studios che gli affidano gli script di Toy Story (candidato all'Oscar), Alien 4 più alcuni prodotti Disney di poco rilievo. Ma il tarlo che rode dentro la sua mente è la figura di Buffy, la cacciatrice, l'ammazzavampiri, ridotta in stracci da un film d'inizio anni '90 che Whedon disconobbe. Qui nasce il mito whedonesque, quando l'autore vende la nuova versione del personaggio, vincendo le resistenze degli executive. E Buffy diventa una delle più importanti serie tv degli ultimi 20 anni, la più grande e completa riflessione sulla cultura pop dei nostri tempi, filtrata da un melodramma horror (post)adolescenziale il cui spessore fa ricredere i più scettici e regala ai fan episodi indimenticabili che rileggono il musical, il film muto - ben prima di The Artist - e riflettono sulla morte e il dolore.

Un genio della narrazione televisiva e dei cultural studies a cavallo dei millenni probabilmente poco incasellabile dalla tv dei network: infatti, dopo Buffy, e il suo spin-off Angel (versione più adulta, dark e hard-boiled del suo maggiore successo), il rapporto con le reti televisive è burrascoso, il livello di finezza dei progetti è inusuale. I 14 episodi di Firefly verranno trasmessi da Fox in ordine casuale, trovando giusta coronazione nel bel film Serenity (dallo stesso Whedon diretto), le due stagioni di Dollhouse soffrono di alti e bassi preoccupanti. Il piccolo schermo, luogo ideale per le modalità del nostro - magari via cavo -, è davvero troppo piccolo. E allora si torna al cinema, senza dimenticare il seme di tutto, il fumetto: Whedon scrive Fray, un'ammazzavampiri del futuro, e la continuazione cartacea di Buffy, oltre a supervisionare il seguito di Angel. Ma soprattutto crea e sceneggia un'intera serie degli X-Men, dal titolo Astonishing X-Men, che convincerà i Marvel Studios ad affidargli la regia del film sui Vendicatori che sta sbancando i botteghini italiani e presto quelli mondiali.

E al cinema, Whedon comincia a dedicarsi anima e corpo: oltre ai due film citati, il nostro è in post-produzione con In Your Eyes, fantascienza romantica che ha scritto per la regia di Brin Hill, e una versione contemporanea di Molto rumore per nulla, di cui sarà anche regista. Questo nuovo, ritrovato amore per la settima arte è curioso nel 2012: per questioni economiche, culturali, industriali, Hollywood non è più la Mecca del cinema, non è più il luogo in cui le idee e i fermenti, le schegge di nuovi linguaggi arrivano al grande pubblico. La fabbrica dei sogni è ferma, appunto, al riciclo continuo di idee da fumetto, di personaggi conosciuti, è conservatrice, tesa a rassicurare lo spettatore più che a travolgerlo.

Questo compito, assieme a quello di convogliare le tendenze narrative e non solo, spetta quindi alla tv, soprattutto a quella via cavo, capace di raffinare il racconto in modo tale da poter filtrare ogni tipo di metafora e contenuto. Si vedano Mad Men, Game of Thrones, Big Love, Homeland (per non parlare di Soprano e 24, finiti da qualche tempo): il mantra degli studiosi di cultura è che la televisione è il nuovo romanzo americano, come dimostrerebbe l'adattamento imminente delle Correzioni di Franzen, uno dei grandi romanzi americani contemporanei. Cosa spinge quindi Whedon ad abbandonare la televisione per il declinante fratello maggiore?

In un frangente in cui Spielberg dedica lo stesso tempo a produrre (fallimentari) serie tv di vario genere (Terra Nova, Falling Skies, Smash) che a creare film per il cinema, in cui Scorsese riversa entusiasmo su un grande show come Boardwalk Empire, in cui Michael Mann realizza una delle più belle ore audiovisive (il pilot di Luck) degli ultimi tempi per la Hbo, Whedon è una sorta di pesce fuor d'acqua. Eppure la sua è stata una delle prime figure di autore - nel senso cinematografico di portatore di idee, temi, tensioni e immagini propri - televisivo, rendendo possibile la creazione della nuova serialità come regno dello sceneggiatore, permettendo l'affermarsi come divi della creazione tv anche di colleghi più esperti, come David Milch (Nypd, Deadwood), David Kelley (The Practice, Ally McBeal) e altri. Ma forse proprio per questo, Whedon vive la contraddizione di essere un grande inventore di forme, trame, idee e riflessioni attorno all'estetica popolare e alla cultura dei generi, in un momento di ripiegamento, in una congiuntura economica e non solo che impedisce il rischio, la sperimentazione, le reinvenzione delle forme.

Dopo che negli anni '00, la narrazione tv ha creato un impero, anche fruitivo, gli anni '10 servono a consolidarlo, a solidificarlo. A immobilizzarlo, forse, più che a espanderlo. Tanto vale allora tornare agli albori, sfruttare il momento di buio della cinematografia, la tabula rasa da qualcun altro per poter ricostruire qualcosa di nuovo, o almeno di interessante. Il talento e l'intraprendenza sono tanto sicuri da non poter fallire, e le prove di The Avengers, che porta l'"insalata" fumettistica al suo zenith, e Quella casa nel bosco, che azzera in pratica tutto l'horror moderno, lo confermano. Sempre in attesa però - come ha dichiarato in un'intervista al sito internet Av Club - di un seria proposta televisiva: perché il primo amore non si può dimenticare.


di Emanuele Rauco