Allarme calcio: conti in rosso, utili in calo

domenica 1 aprile 2012


La crisi economica, che sta travolgendo in pratica tutta l'Europa, non risparmia neanche quello che fino a pochi anni fa sembrava essere un vero e proprio eldorado: il calcio. Il dio pallone è con l'acqua alla gola in tutto il continente e l'Italia, ovviamente, non fa eccezione, anche se, almeno in prospettiva, c'è chi se la passa peggio. Alla faccia del Fair play finanziario introdotto dalla Uefa e a gran voce preteso dal suo presidente, Michel Platini. Fair play che prevede il ripianamento dei debiti mediante aumenti di capitali o attraverso donazioni, ma non più con prestiti. Quest'ultimi, infatti, gravano sui bilanci e incidono sugli indebitamenti, mentre le donazioni e gli aumenti di capitale consentono di ristabilire l'equilibrio finanziario senza che siano previsti rimborsi e restituzioni che rischiano di generare fallimenti societari. 

È allarme rosso, in particolare, in Inghilterra, storica patria del football. Le parole del ministro dello Sport britannico, Hugh Robertson, d'altronde suonano come una cornamusa per il de profundis: «Il calcio è la disciplina peggio governata in questo paese. Bisogna muoversi presto - ha affermato Robertson - per assicurare un futuro tranquillo al calcio inglese». Dalle parole del ministro di Sua Maestà appare piuttosto chiaro un aut-aut che già sta facendo tremare tutta la Premier League, e più in generale il calcio professionistico inglese. Se nessuno si muoverà sarà costretto a farlo il governo, che a quel punto non farà più differenza tra figli e figliastri. Tutto ciò, quindi, con buona pace dell'opinione pubblica del Belpaese che continua ad indicare i club britannici, che si sono aperti in questi anni a investitori russi o arabi, come i modelli da seguire dalle nostre società: mai errore potrebbe esser così fatale. L'indebitamento dei club inglesi che partecipano alla Premier (vale a dire l'equivalente della Serie A italiana) ammonta a poco meno di tre milioni di sterline. La cifra risulta essere oltre la metà del rosso di bilancio di tutti gli altri club europei messi assieme. Se vengono presi in considerazione, poi, i due club che hanno conquistato il campionato inglese negli ultimi anni, il Manchester United e il Chelsea, i debiti ammontano a quasi 1,7 miliardi di euro. Una cifra doppia rispetto a quella resa nota da Milan e Inter i cui deficit sommati ammontano a circa 800 milioni di euro. 

I mecenati russi e arabi, inoltre, che hanno investito nell'industria  calcistica d'oltremanica, stanno attuando gestioni poco accorte, dando a credito i propri denari per acquisire giocatori a prezzi fuori mercato, tant'è che oggi è praticamente impossibile "strappare" un calciatore a una società inglese. Non tanto per il costo del cartellino quanto proprio per quello dell'ingaggio, in molti casi al di sopra del valore dell'atleta stesso. Così come sarà difficilissimo subentrare, per un acquirente britannico, ai patron stranieri che hanno investito nel calcio inglese, i quali, una volta stanchi del "giocattolino", pretenderanno ovviamente  il ripianamento dei debiti contratti dal club verso loro stessi.

In Italia non succederà mai, anche per normative molto più severe in tal senso, che un proprietario uscente chieda all'entrante di restituirgli i vari ripianamenti messi in atto negli anni della sua gestione. Insomma, il calcio inglese si sta sorreggendo su fondamenta talmente incerte, irrazionali e scellerate che difficilmente potrà vivere, senza darsi una regolata, a lungo. Le prime società, intanto, stanno per crollare. Il Portsmouth, per la prima volta nella storia britannica, è finito in amministrazione controllata. Lo stesso Manchester United è stato costretto ad emettere un bond da 500 milioni di sterline per ristrutturare i suoi conti. Senza contare, tra l'altro, che dalla stagione 2012/13 il fair play finanziario prevede il ripianamento dei debiti, pena l'esclusione dalle competizioni internazionali. 

E se il calcio inglese piange, certamente non sta ridendo quello italiano, le cui perdite sono nette, principalmente a causa di fattori strutturali che ne limitano la crescita: assenza di stadi di proprietà e drastico calo di spettatori. L'indebitamento complessivo della Serie A, per la stagione 2010-2011, è di 2,6 miliardi di euro, segnando un plus di circa il 15% rispetto all'anno prima. Il risultato è comunque drammatico in tutte le leghe professionistiche: su 107 società (tra Serie A, B e LegaPro) solo 18 hanno riportato un utile.  Ad aver fatto crollare gli introiti in questi ultimi anni è stata, appunto, la diminuzione degli spettatori allo stadio (quasi il 6% in Serie A in un biennio), il mancato rinnovamento di molti abbonamenti e l'assenza di strategia di marketing, questa sì da prendere ad esempio dalle squadre inglesi o spagnole. La percentuale di riempimento degli stadi utilizzati da squadre di Serie A nelle partite di campionato, Coppa Italia e coppe europee è pari al 56%. Stride il paragone con l'Inghilterra, dove il riempimento per le tre competizioni principali è pari al 75%, con la Germania al 65% e la Spagna al 62%.

Tempi grami, infine, attendono anche il calcio iberico, in cui l'unica oasi felice è quella catalana del Barcellona. Secondo El Pais, i club di calcio dovrebbero al fisco spagnolo qualcosa come 752 milioni di euro. È questa la cifra, calcolata al 1 gennaio 2012 e comunicata dal governo, che devono versare allo stato le società calcistiche professionistiche del Paese. E in una Spagna alle prese con la peggior crisi economica del dopoguerra non è proprio il massimo. Il debito inoltre negli ultimi quattro anni è salito di 145 milioni di euro. Il governo spagnolo ha confermato che l'Agenzia delle Entrate contratterà nelle prossime settimane con ogni singola società il pagamento del debito, degli interessi di mora e delle spese accessorie.


di Luca Sansonetti