I big del web dovranno pagare le notizie

Qualcosa si muove nel mondo dei big del web per il rispetto del diritto d’autore. La spinta viene dall’altra parte del pianeta: dall’Australia e dagli Usa. I giganti della tecnologia, tipo Facebook e Google, dopo anni di irregolare monopolio (dovuto anche all’assenza di regolamenti e leggi degli Stati) sono stati indotti a più miti consigli e a trovare soluzioni anche per non subire lunghi e onerosi processi, con conseguenti condanne a ingenti risarcimenti. Alla base del contendere c’è lo sviluppo, sempre più sfrenato, delle piattaforme digitali che hanno bisogno di essere riempite in continuazione e in tempi reali di contenuti, quindi di notizie e programmi.

L’utilizzo massiccio di prodotti altrui, da parte dei mezzi web, ha posto un problema fondamentale: la libertà o meno delle grandi aziende web di diffondere sulle loro piattaforme, gratuitamente, i materiali prodotti da altri mezzi d’informazione. Questa ipotesi si scontra con il principio giuridico che la libertà e il diritto all’informazione non vengono garantiti solo dalla possibile facilità di diffusione, ma anche dal fatto di retribuire in modo adeguato coloro che producono notizie e contenuti informativi. Il contrasto è scoppiato in Australia, perché Facebook aveva rimosso la visualizzazione delle notizie per gli utenti dopo un acceso dibattito con il Governo di Canberra, che aveva preparato una proposta di legge che avrebbe obbligato le piattaforme digitali a pagare i giornali per le news utilizzate.

Oltre a garantire i lettori, dietro l’angolo c’era la crisi dell’editoria della carta stampata, accentuata dalla concorrenza di altri mezzi della comunicazione, tra l’altro più veloci. Utilizzare, però, senza pagare le news dei quotidiani e dei periodici diventa concorrenza sleale, perché i giganti del web non producono news o programmi ma li diffondono. La sfida tra giornali, tweet, post crea tensioni e difficoltà economiche. Si torna così al punto di partenza. “Il diritto all’informazione” scrive il professor Paolo Balduzzi “non può essere garantito se chi produce informazione non viene retribuito. I diritti costano e nulla è gratis”.

Si è così messo in moto un meccanismo che ha portato in Australia ad un primo accordo tra la società televisiva “Seven West” e Facebook relativa alle notizie da trasmettere. L’azienda americana di Mark Zuckerberg ha ottenuto alcuni cambiamenti della proposta di legge, garantendo a sua volta di sostenere il giornalismo. Anche Google, che si era inizialmente opposto alla nuova disciplina, ha accettato di pagare alcuni editori per i contenuti tra cui News Corp, proprietario dell’editore di Wall Street Journal “Dow Jones & Company”. Il prezzo verrà stabilito da un collegio arbitrale.

Le mosse dei big del tech avevano suscitato forti reazioni delle Amministrazioni di alcuni Paesi come Australia, Canada, Stati Uniti e Gran Bretagna. E l’Europa? L’Unione europea ha aperto un confronto con i big del web ma l’approccio è considerato finora debole, anzi troppo morbido. Lo scontro principale riguarda l’applicazione della cosiddetta “web tax” e la necessità di far pagare le imposte alle multinazionali della rete. Il contenzioso è aperto.

Le Associazioni degli editori europei intanto hanno raggiunto un’intesa con Microsoft, per garantire all’industria editoriale eque remunerazioni per il pagamento delle notizie utilizzate. L’accusa da parte dei Governi è che i giganti del web fanno sempre più soldi, ma pagano sempre meno tasse. Specie in Italia, dove si registrano appena 70 milioni di euro complessivi all’anno.

Aggiornato il 28 novembre 2022 alle ore 10:54