Colossi del web, il paradiso è qui

Provate ad immaginare il paradiso fiscale. E poi lasciatevi stupire dal fatto che, per Facebook, Google, Amazon e Apple, il paradiso è proprio casa nostra.

Anche per l’anno 2015, infatti, secondo i bilanci, la cifra versata dai quattro colossi del web al fisco italiano sarebbe di soli 15 milioni di euro totali. Un numero irrisorio, se si considera che Google, Facebook e Amazon, secondo un’indagine Ipsos condotta alla fine dell’anno scorso, risultano nell’ordine i primi tre marchi più influenti d ‘Italia. Ancor più di Nutella e Parmigiano Reggiano che occupano rispettivamente il quinto e il nono posto di “The Most Influencial Brands”. Il “trucco” è sempre lo stesso da anni. Come confermano i dati pubblicati dalla Camera di commercio di Milano, a regolare il movimento di questi grandi gruppi è la struttura commerciale. Il fulcro del sistema è sempre una società domiciliata in un Paese fiscalmente agevolato, come Irlanda e Lussemburgo, che riconoscono a loro volta alle succursali italiane delle commissioni per attività promozionali, non consentendogli quindi di contabilizzare le vendite reali, ma solo i servizi di consulenza che, seppur tassati, restano notevolmente più bassi.

Prendiamo per esempio il caso Amazon. Le carte parlano di un business che, nel 2015, in Italia è cresciuto del 60 per cento. Nonostante questo, poiché i soldi dei clienti finiscono direttamente alla casa madre con sede a Lussemburgo, l’utile è cresciuto miseramente da 1,1 a 1,2 milioni, con una riduzione del carico fiscale dagli 1,8 milioni del 2014 a l’1,4 dell’anno passato. Per non parlare di Google e Facebook, pressoché fantasmi per l’Agenzia delle entrate a cui complessivamente nel 2015 hanno versato solo 2,4 milioni di euro di tasse, pur avendo raccolto nello stesso anno 1,25 miliardi Google attraverso la pubblicità e 350 milioni il social network di Zuckerberg.

Fortuna che qualcosa sembra andare per il verso giusto. E che i magistrati hanno finalmente ritenuto opportuno mandare ai colossi stranieri dei verbali di accertamento per omessa dichiarazione dei redditi. Al momento ancora nessuna risposta da parte di Google e Amazon. Nonostante a entrambe si contestino circa 230 milioni di euro non pagati tra il 2009 e il 2013, i due colossi non sembrano avere ragioni a sufficienza per saldare il loro debito. Speriamo che i Pm facciano il loro dovere e speriamo, perché no, di ottenere più di quanto non sia stato possibile con Apple, l’unica per ora ad aver ceduto alle accuse della Procura, versando 315 milioni di euro al fisco italiano, contro però gli 880 milioni di Ires evasa contestatagli.

E speriamo che non ci sia la solita soggezione della politica nei confronti dei nuovi poteri forti del web capaci di influenzare la formazione dei giovani. Penso che in questa battaglia per la par condicio tra grandi operatori di Internet mondiali e tutti gli altri operatori economici di altri settori possa esserci l’interesse nascosto della politica, che ripeterebbe l’operazione simpatia già fatta in passato con la carta stampata, visto l’enorme influenza che questi operatori hanno nei confronti della formazione politica e professionale dei giovani.

Oppure, se di democrazia si tratta, speriamo di svegliarci presto anche noi nell’Italia del Paradiso.

Aggiornato il 28 novembre 2022 alle ore 02:59