Il messia turco

Paşalı è uno sperduto villaggio turco vicino alla Georgia e non lontano da Trebisonda. I turisti non ci arrivano, l’economia locale non si ciba di charter che portano gli europei a immergersi in mari tiepidi e a comprare orologi tarocchi, come fanno nella costa sud-occidentale.

Non è dunque difficile costruire un mito su un ragazzino di quelle parti, costretto a lasciare la scuola dopo la prima media per lavorare, spesso gratis, nella regione della lontanissima Istanbul, imparando il mestiere di macellaio. Soprattutto quando il ragazzo, Nusret Gökçe, apprende in fretta: non solo ad affettare il manzo, ma a costruirci una miniera d’oro.

Apre una prima steak house a Istanbul e capisce subito che oggi uno chef (e non solo) diventa famoso con la comunicazione, non con la raffinatezza. Si dà da fare, costellando di bisteccherie lo chic del mondo e fabbricando tredici figli da single.

Per divenire un mito planetario in un attimo gli basta intrufolarsi fra i calciatori argentini e sollevare la Coppa del mondo come fosse il Messia di Lionel Messi. Le polemiche fanno il suo gioco, rivelando che il livello mediatico può scendere fino a gesti da fan adolescenti: perché funziona così.

Certo, non è stato Nusret a sollevare il trofeo, ma Salt Bae, lo pseudonimo che si è dato dopo il successo di un video di cinque anni fa, in cui salava la carne con un particolare movimento del braccio. La clip non dimostra nulla, né che lui si sia trasformato da macellaio in chef, né che quel suo gesto conferisca alla carne qualcosa di speciale: solo un meme, visto che di questo viviamo, di questo ci hanno abituato a cibarci, esaltando infiniti nulla, felici dell’esonero di fatto da qualsiasi approfondimento.

Salt Bae significa semplicemente salare prima di chiunque altro: che vuol dire? Che cosa aggiunge? Dov’è la novità? Quale segreto si cela dietro questo gesto? E questo turco quale tocco magico imprime alla carne da lui miracolata, massaggiandola con sensualità furbacchiona e occhiali da Rihanna?

Sul manzo non si sa, sul popolo dei ventinove milioni di follower che lui ha radunato, evidentemente, un effetto l’ha sortito. Gli ingredienti sono sempre gli stessi: una foto, una clip ben studiata, e poi esagerare in tutto. Una bistecca da seicentocinquanta euro attrae, non spaventa. Come pure sedicimila euro per dieci persone, però con vini mitici e quindici per cento di servizio, vale a dire duemilaquattrocento euro. E qui si favoleggia su quale cerimoniale si possa organizzare per tutti quei soldi: pare nessuno, costa e basta. E se il costo non è folle, niente mito.

In breve tempo, lui diventa il bistecchiere dei vip, nessuno di livello sotto Leonardo Di Caprio, Roger Federer, Antonio Banderas o David Beckham. Dunque, i commenti gelidi dei gastronomi non hanno grande valore, nemmeno il fatto che Tripadvisor collochi Nusret fra gli ultimi novanta fra gli oltre diciassettemila ristoranti di Londra. E pare che, fra le poche segnalazioni positive, trentotto siano giunte prima che fosse aperto. Del resto, la tv dimostra ogni giorno che siamo tutti chef, senza nemmeno sentire gli odori del cibo.

Viviamo nel mondo di tutto e del suo contrario: politicamente vegani, ma anche eroici macellai, sermoni sulla parsimonia e fascino dei prezzi stellari, comunicazione in corsivo e machismo rampante. Il meccanismo è usare solo simboli e per giunta lontani dall’oggetto, ammesso che un oggetto esista. È terribile che questo stia diventando il sale della vita.

Aggiornato il 29 dicembre 2022 alle ore 10:56