L’evasione della ragionevolezza dall’Istituto per minorenni “Cesare Beccaria” di Milano

Quanto accaduto presso l’Istituto per minorenni di Milano dovrà essere accuratamente analizzato dal decisore politico, in particolare dalla premier Meloni e dal ministro Nordio, perché l’evasione di sette giovani detenuti, durante il periodo delle festività natalizie, obbliga ad una riflessione, evitando la pratica di scaricare le eventuali responsabilità sugli anelli deboli dell’organizzazione penitenziaria dei minori.

Per evitare polemiche, mi atterrò ad informazioni Osint (Open Source Intelligence) disponibili al pubblico e divulgate dalla stessa amministrazione interessata.

Il primo dato è che, allorquando parliamo di detenuti minorenni o assimilati (come nel caso di quelli maggiorenni che permangono, negli Istituti per i minori, fino al compimento del 25 anno di età) ci riferiamo ad una popolazione complessiva la quale, alla data del 15 novembre scorso, era costituta da sole 391 unità, di cui 10 donne.

Un numero insignificante che, distribuito in ben 17 istituti dedicati, si traduce in un contingente neanche presente in una ordinaria classe delle scuole di primo o secondo grado della Repubblica.

In particolare, presso l’istituto per minorenni di Milano, alla data del 15 novembre, si registravano soltanto 44 unità, tutte di sesso maschile.

Il Dipartimento della Giustizia Minorile e di Comunità precisa come gli istituti predetti costituiscano dei contesti concepiti “strutturalmente in modo da fornire risposte adeguate alla particolarità della giovane utenza ed alle esigenze connesse all’esecuzione dei provvedimenti dell’Autorità Giudiziaria”, chiarendo come le attività trattamentali connesse siano svolte da un’equipe multidisciplinare, in cui è presente un operatore socio-educativo di riferimento stabile, appartenente all’Amministrazione. Sottolinea, inoltre, come le attività formative, professionali, culturali e di animazione, siano effettuate in collaborazione con operatori di altri Enti e avvalendosi di associazioni del privato sociale e del volontariato; infine, ricorda che negli Ipm è presente personale del Corpo di Polizia Penitenziaria adeguatamente formato al rapporto con l’adolescenza.

Come vedete, viene descritta un’altra verità rispetto a quella che sembrerebbe riferirsi alla situazione presente nella giornata della grande fuga di Natale, quantomeno ove dessimo fede agli organi di stampa, alle dichiarazioni di persone “informate sui fatti”, alle Oo.ss. della stessa Polizia Penitenziaria e ai ministri di culto cattolico che, per contratto celeste, si dovrebbero ritenere certamente affidabili.

Dalle fonti “orali”, infatti, compresa qualche intervista giornalistica del board burocratico, si è appreso come mancasse in quell’Ipm un direttore, in pianta stabile, da circa 20 anni: per ben venti anni si è consentito ad una nave di solcare, tutti i giorni, il mare tempestoso penitenziario (che, com’è noto, è indifferente ad ogni ricorrenza), senza che vi fosse al timone uno stabile Comandante; ma non si sarebbero assicurati neanche i nostromi e buona parte dell’equipaggio.

La cosa dovrebbe essere vera, perché c’è stata poi una rincorsa nell’assicurare che, finalmente, verranno assegnati, ovviamente con atto da venire, e prelevate chissà dove, le risorse umane necessarie.

Però, se così fosse, ci si troverebbe innanzi ad una autodichiarazione di colpevolezza amministrativa, perché significherebbe che non si sia precedentemente destinata attenzione nella distribuzione delle risorse umane, permettendosi che alcune realtà lavorative, semmai, fossero tronfie. Insomma, ci si troverebbe innanzi ad una ipotesi di responsabilità di gestione complessiva del personale, in quanto esso non deve e non può essere in sovrappiù in alcune sedi, né tantomeno in numero carente, ma dovrebbe corrispondere perfettamente a quello stabilito con decreto ministeriale quale dotazione organica, perché quest’ultima congrua, giusta, calibrata ai bisogni, anche in una visione prospettica.

Ove, però, mancasse, dovrà attendersi la conclusione di eventuali concorsi pubblici già in atto, la nomina dei vincitori, l’assegnazione delle sedi, il compimento dei periodi di formazione professionale. Insomma, altri giorni, mesi, forse finanche anni, sempre che non spuntino micidiali ricorsi ordinari o giurisdizionali da parte di candidati esclusi.

Pertanto, legittima è la preoccupazione che si stia parlando del vuoto cosmico, mentre l’opinione pubblica, allarmata, pretende risposte ora per allora, e non per un domani che è già un dopodomani indefinito.

A questo punto, sarebbe da chiedersi se sia una scelta sensata quella di continuare ad avere tanti istituti per minorenni (con costi rilevanti per il loro mantenimento), a fronte di così pochi, come si usa dire, “utenti” e se non sia, invece, più ragionevole realizzare dei poli penitenziari, probabilmente non più di tre, ove far affluire questa popolazione davvero così contenuta, onde poter assicurare un migliore impiego del personale tutto, in particolare delle equipe trattamentali multiprofessionali.

Così come ci si dovrebbe interrogare se continui ad essere una scelta razionale, “sostenibile”, quella escogitata nel 2014, con l’avvallo dell’allora ministro della Giustizia, cioè di avere costituito un ulteriore nuovo dipartimento, come quello della Polizia di Stato, come quello dell’Amministrazione Penitenziaria per Adulti, come quello della Protezione Civile, etc., rivolto alla gestione della popolazione detenuta minorile e ai minori, pur ove quest’ultimi non fossero sottoposti a misure privative della libertà, quando, fino a quel momento la sua organizzazione non era altro che una delle tante onorevoli branche della stessa unica amministrazione penitenziaria, con la quale, tra l’altro, condivideva la medesima Polizia.

È indubbio, però, che con la creazione di un nuovo dipartimento (mentre, all’epoca, tutti si lamentavano del taglio lineare del personale) è certamente accresciuto lo Stato Maggiore, ergo le posizioni apicali dirigenziali, comprese quelle generali, mentre per i fanti e le fantesche, rimaste sul fronte delle carceri e degli uffici periferici, praticamente la prima linea del fronte, non è stata riservata analoga attenzione: ma c’est la vie, quella che va dall’ombelico in giù.

Insomma, malvagiosetta, ma non stupida, potrebbe essere la sensazione che, per dare un maggiore peso al Moloch amministrativo che si stava ideando nel 2014, si sia pensato di elevare l’età massima degli “utenti” degli istituti per minori, portandola a 25 anni, quindi di fatto consentendo la devastante coesistenza di minori davvero minori, tante volte di adolescenti, con altri ospiti che hanno un’età ben maggiore e personalità criminali già sviluppatesi (non poche volte soggetti anche sposati e/o conviventi, già genitori a loro volta), e tutto questo in un contesto dove addirittura mancavano, e mancano tuttora, gli agenti, gli educatori ed i direttori: praticamente i fondamentali punti istituzionali di riferimento, quelli che andrebbero ascoltati dai detenuti minorenni i quali, invece, avranno come loro modelli i loro compagni detenuti adulti, con storie già strutturate di vita criminale, semmai già affiliati a cosche criminali organizzate o a bande giovanili delle periferie suburbi, se non anche in odore di fondamentalismo religioso o altro ancora.

Ma perché farsi il sangue amaro, dopotutto c’è sempre un Godot d’additare: il Codice Rocco, un Codice “fassista”, seppure fu realizzato da “giuristi” apprezzati, né ricordare come il nostro sistema attuale continui a non corrispondere a quei modelli ideali succedutesi nel tempo, a seguito di Riforme che riposano nei codici; ma tanto nessuno, passata la buriana, se ne accorgerà e quindi via, si continui così, fino alla prossima evasione o a peggiori inevitabili criticità.

(*) Penitenziarista, già presidente dell’Osservatorio Internazionale sulla Legalità di Trieste

Aggiornato il 29 dicembre 2022 alle ore 11:46