“Processano un carabiniere-eroe per una foto”: la storia di Silvio Pellegrini

lunedì 19 dicembre 2022


Intervista ad Andrea Falcetta, avvocato del vicebrigadiere

Silvio Pellegrini è quel vicebrigadiere dei carabinieri grazie al quale si è arrivati a catturare, processare e poi condannare, in due gradi di giudizio, i due giovani americani, Finnegan Lee Elder e Gabriel Natale Hjorth, ritenuti responsabili dell’omicidio del carabiniere Mario Cerciello Rega, avvenuto tra il 25 e il 26 luglio del 2019.

Fu proprio Pellegrini, infatti, chiamato dai colleghi nel cuore della notte per dare una mano sulle indagini appese a testimonianze confuse – anche e soprattutto da parte dell’appuntato Andrea Varriale, che quella sera tragica era con Cerciello al momento della aggressione – che indicavano due magrebini come autori dell’omicidio, ad accorgersi di una macchia di sangue vicino all’hotel Le Méridien, in via Federico Cesi, dietro piazza Cavour. E da lì ad arrivare all’identificazione dei due statunitensi.

Senza il suo spirito di osservazione, i due americani l’avrebbero decisamente fatta franca, visto che avevano l’aereo per gli Stati Uniti per le prime ore del mattino di quello stesso giorno e che nessuno sospettava di loro. Per la giustizia italiana, però, Silvio Pellegrini – un passato fatto di encomi solenni, tre, uno dei quali per avere salvato un ostaggio durante una rapina a Roma nel periodo natalizio del 1998 e un altro per la cattura di un terrorista islamico che voleva fare un attentato nella Capitale, oltre altri 10 encomi generici per le proprie azioni in servizio – è anche un “servitore infedele”, un carabiniere da mettere sotto processo con l’accusa di avere scattato un foto a uno dei due imputati, Gabriel Natale Hjort, il quale in precedenza era stato pure bendato da un altro suo collega, per evitare che continuasse a dare in escandescenze in caserma e si autoinfliggesse delle lesioni che sarebbero potute poi essere attribuite a percosse subite dopo il suo arresto.

Pellegrini, in aula, a tal proposito era stato chiaro: “Dopo il caso Cucchi, per noi era naturale prendere questo tipo di precauzioni, come fotografare gli arrestati per attestarne la perfetta incolumità”. Inoltre, si doveva far sapere, a un ristretto nucleo di carabinieri operativi, che si era giunti all’arresto del presunto colpevole e che era inutile cercare ancora i fantomatici cittadini marocchini. Purtroppo, la foto scattata a “uso interno” finì invece sui giornali. Precisamente su “La Stampa” on-line – e poco dopo su altri quotidiani – perché qualcuno nell’Arma, forse, avrà pensato bene di fare un favore all’amico cronista. Su questo lato oscuro della vicenda si è però preferito non curiosare a fondo, in special modo da parte dei giornalisti. Però tutti sanno dai tabulati sequestrati – e da tempo pubblici – in quei giorni a tutti gli appartenenti all’Arma, e persino a membri dei servizi di sicurezza (quando ci stanno di mezzo due cittadini americani in un delitto del genere è “normale” che si mobilitino, ndr), dell’esistenza di numeri che hanno chiamato fino a 149 volte vari organi di informazione. E quei numeri, tuttavia, non sono riconducibili all’unico imputato, oggi accusato di avere diffuso la foto e per tale motivo finito sotto processo. E proprio di questo processo paradossale all’eroe che ha fatto prendere gli assassini di Cerciello abbiamo parlato con il suo difensore, Andrea Falcetta, che ci ha concesso un’intervista che può ben definirsi “esclusiva”, visto che sinora dalla difesa Pellegrini non erano uscite molte cose, se non brevi dichiarazioni di repertorio.

Il caso dell’omicidio di Cerciello Rega ha avuto, comprensibilmente, una fortissima esposizione mediatica, così come i processi “collaterali” al processo principale. Avvocato Falcetta, come difensore del vicebrigadiere Silvio Pellegrini, “reo” di avere scattato la foto che ritrae uno dei due ragazzi americani bendato e con le manette, ha mai ricevuto alcun tipo di contatto dai giornalisti?

Si che ne ho ricevuti, e anche troppi. Sono stato inseguito per mesi da cronisti di testate radiofoniche, televisive e della carta stampata, ma non ho mai risposto a nessuno. La mia impressione era che si fosse alla ricerca dello “scoop”, invece che di una buona onesta e completa informazione.

Può spiegarsi meglio?

Pochi giorni fa, Pellegrini ha risposto a un fuoco di fila incrociato di domande in Tribunale, quale imputato di abuso d’ufficio e rivelazione di segreto d’ufficio. C’era Radio Radicale che notoriamente registra e manda in onda tutto, senza alcun tipo di censura. C’erano anche altre testate. L’indomani sui giornali ho letto soltanto “Pellegrini ammette di avere scattato la foto e di averla poi inoltrata nella chat WhatsApp”. Posso dire che è la scoperta dell’acqua calda, visto che sono passati ormai tre anni da quando io stesso depositai all’allora procuratore capo, Michele Prestipino, una memoria in cui Pellegrini si riconosceva espressamente quale autore delle suddette condotte.

E perché l’informazione data sarebbe incompleta?

Pellegrini lo conosco personalmente da quando aveva 19 anni e si accingeva ad entrare nei carabinieri (è figlio di un ufficiale superiore dell’Esercito italiano che, durante una missione in Afghanistan, riuscì a salvare un bambino ostaggio di un terrorista, sparandogli). Silvio aveva appena 23 anni quando nel corso di una rapina a mano armata il malvivente aveva preso in ostaggio la cassiera di una banca. E lui, siccome è ben noto che “un carabiniere non è mai fuori servizio”, intervenne estraendo la sua arma di ordinanza. Il “palo” gli sparò addosso, ma lui freddamente – con grande saggezza e capacità di amministrare una situazione così grave – riuscì in primo luogo a salvare l’ostaggio. Poi anche ad arrestare sia il rapinatore che il “palo”. Quello fu il primo dei suoi 11 encomi, tre dei quali solenni: per chi, a differenza di me, non sappia cosa sia un encomio solenne, spieghiamo che è un riconoscimento che il Generale comandante attribuisce al militare dinanzi ai Reparti interamente schierati in Piazza d’Armi. Lui di encomi ne ha 11, tre di questi sono per l’appunto solenni.

Quindi, secondo lei Pellegrini è stato in passato un eroe. Ciò non toglie che magari, nel “caso Cerciello Rega”, possa avere sbagliato qualcosa… sono cose che accadono anche agli eroi.

Gli eroi non esistono secondo me. Ci sono solo uomini e donne che antepongono il dovere agli interessi personali. Silvio ha esplorato la zona in cui fu ucciso Mario Cerciello Rega (che peraltro era un suo amico) palmo a palmo. Avendo 30 anni di “strada” sulla schiena, ha saputo distinguere una macchia ematica da quelle di morchia dei motorini. Questa traccia ematica era a due metri dall’hotel Le Méridien. Per cui è entrato (alle sei del mattino), ha domandato e gli è stato confermato che in piena notte erano rientrati due ragazzi visibilmente molto agitati. Costoro avevano un aereo per le prime ore del mattino, un aereo per gli Usa. Cioè, quel posto in cui nemmeno per la strage del Cermis ti restituiscono i loro connazionali per un processo, quello italiano, che, a mio parere, è assai migliore di quello americano. Perché qui da noi non esiste alcuna differenza tra un imputato e un imputato ricco.

Perché, però, Pellegrini ha mandato quella foto nella chat?

Perché uno dei due sospettati dava testate a uomini e cose. Se così facendo si fosse procurato qualche danno fisico, l’Arma – ma l’Italia intera, comprensibilmente vittima del complesso “Cucchi” – avrebbe potuto pensare che i due indiziati fossero stati maltrattati.

Totale?

Resta che i due assassini di Cerciello Rega i ha presi lui. Punto. Meriterebbe il 12esimo encomio, invece è sotto processo. Tutto ciò che era emerso dal suo interrogatorio in pubblica udienza di qualche giorno fa, è passato sotto silenzio. Nessun suo collega giornalista ci ha fatto caso. In effetti, aveva ragione la “macchietta” Loche di “Avanzi”: oggi il giornalismo, più che altro, si fa sul titolo invece che sulla notizia.


di Dimitri Buffa