Pace, bene e volontà

C’è, nel nostro presente, il dubbio sul futuro. Non le solite incertezze, il futuro non lo conosciamo, ma proprio sul futuro, se vi sarà un futuro. Certo, non siamo sulla cima della caduta, ma non siamo nelle ampie estensioni dove procedere è agile e il panorama è erboso e alberato. Anzi. Il futuro, il tempo del divenire accrescitivo, del fare ancora, del completare si confonde nell’evanescenza di un domani notturno. Ogni impresa che tentiamo ha bisogno del respiro nel Tempo, e soprattutto se e quando la giovinezza ci ha lasciato il Tempo cresce la sua valutazione essendo minore l’offerta di anni, mesi, giorni.

E impetuosa sorge la domanda: che vale operare se forse l’insieme presto si disperderà in rovina e ogni conquista può subire annientamento? Non si tratta dell’annientamento della morte naturale bensì dell’annientamento della more innaturale, sociale, storica: guerra, perdizione economica. La morte procurata dall’uomo sull’uomo.

Correggo le memorie della mia inabissata vicenda dell’epidemico morbo, mente corpo annientati per settimane, respiro forzato da macchinari, deliri certi che il mio pensare allucinato fosse realtà reale, poi il “risveglio”, e lentissimamente ricomprendo chi io ero io, le cose esterne a me, e poi la respirazione ridata ai polmoni sufficienti a se stessi, e poi il taglio alla gola per svuotare la grumosa poltiglia che mi accecava la parola, e poi tentare di riavere le gambe quali sostegno al corpo, e scrutamenti al cuore, e bastoncini nel naso, polmoni, e infine, uscire. Io, personalmente, sono convinto che non sarei uscito!

Uscire alla vita che all’inizio mi disadattava, così strana e inconsistente! La gente cammina nelle strade. Ma dico! Perdere tempo, così! La malattia decisiva fa considerare la vita in concezioni rinnovate, tragiche e umanissime. Volevo vivere, uscendo dalla quasi morte, vivere sapendo che è morire, talune esperienze fanno vivere la morte. Ho vissuto la morte. Ed è il mio prossimo libro. Quand’ecco sorge il sole oscurato del futuro. Ci sarà un futuro?

Gli uomini che reggono le vicende pubbliche si immedesimano in milioni di persone che vorrebbero avere maggior fiducia che esiterà un futuro? Perché tanta persistenza nel predisporre guerra, malattia, malattia, guerra? Ho sperimentato la presenza della morte più fuori dall’ospedale che nell’ospedale. Nell’ospedale immaginavo che fuori viveva la vita, al contrario, una continuativa manifestazione di pandemie, guerre, guerre pandemie, ma lo sappiamo: se mi ossessiono della presenza del male, quando pure ritenendo di fronteggiarlo, in effetti io mi devasto la mente di tale presenza, il male. Allora, non fronteggiare il pericolo di guerra? Assolutamente, fronteggiarlo, ma non come pericolo di guerra, ma volontà di pace.

È mortuario presentare l’evenienza di pericoli, cerchiamo la salute! A procedere con l’incubo del negativo avviene come al pensare continuo della morte, non viviamo. Come si evita il pensiero della guerra? E la guerra? Cercando la pace. Semplicissimo. Non presentare reiteratamente le possibilità della guerra, ma le possibilità della pace. Così per la malattia. Esporre modi per vivere felice. Non si tratta del futile “pensare positivo”, ma del tragico amore per la vita. È la coscienza della tragedia che vuole la felicità.

E la tragedia della guerra e della malattia che deve ispirare pace e la salute (è con piacere stimativo che colgo nell’attuale Pontefice di recente questa visione tragica, quindi risolutrice avverso la guerra). La vita è troppo “dannata” per non volere essere felici. Pace e salute. Come? Volendole! Volendole. Non stiamo compiendo alcunché per volere la pace? No! Quindi siamo noi che non la vogliamo! È risaputo: ci rendiamo impossibile quel che non vogliamo ottenere.

Aggiornato il 06 luglio 2022 alle ore 13:37