La privatizzazione della burocrazia

L’invasività dello Stato nelle nostre vite ha bisogno della nostra acquiescenza e collaborazione. Senza la nostra passiva accettazione della sua retorica “della libertà sacrificata per il bene di tutti”, non riuscirebbe a imporre abusi, soprusi e irrazionali obblighi e restrizioni. Oggi ho discusso, animatamente, con il direttore della mia banca che si è permesso di telefonarmi per chiedermi la causale di un versamento di un paio di assegni circolari, depositati, mesi fa, sul mio conto. Questo nonostante nella distinta di deposito avessi indicato che si trattava di provento di vendita di immobile a Roma. Quindi non opache transazioni in contanti o assegni personali di non dichiarata provenienza, ma mezzi di pagamento e causale della transazione, tracciabili e, ove opportuno, agevolmente verificabili dall’Agenzia delle Entrate. Lo zelante funzionario bancario, peraltro, insisteva che la mia dichiarazione non era sufficiente e che dovessi dimostrare a lui (sic!) con copia del rogito notarile, la veridicità di quanto attestato in ricevuta di versamento.

Ora, che l’Agenzia delle Entrate, che sostiene di avere già accesso e visibilità su tutti i nostri averi e redditi (nelle parole del direttore Ernesto Maria Ruffini), abbia bisogno di arruolare sicofanti tra i privati, dimostra o che l’ente pubblico, nonostante l’invasività, non è in grado di incrociare facili dati di verifica, per far emergere eventuali irregolarità e discrepanze, o che alla cittadinanza non dispiace essere sottoposta a un’inversione dell’onere della prova, in via anticipata, anche da parte di terzi all’amministrazione finanziaria. O tutte e due le cose insieme. In epoca di riforme e semplificazioni, “ce le chiede l’Europa”, l’Italia si rivela sempre la stessa, fatta di permessi, nulla osta, visti, timbri e autorizzazioni preventive.

Un Paese che è in grado di far crescere solo la propria burocrazia ma arretra in termini di efficienza e libertà rispetto a qualsiasi altro membro dell’Unione europea. Lacci e lacciuoli, tanto farraginosi quanto inutili, sono diventati rito e religione di un gregge ammansito e rassegnato. Come ironizzava lo psicologo statunitense Robert Sternberg, teorico dei modelli di intelligenza, un domani ci sarà bisogno di un visto per passare dal 31 dicembre al 1 gennaio. E, aggiungo io, nessuno obietterà...

Aggiornato il 07 giugno 2022 alle ore 12:07