Una questione di stile collettivo

Secondo gli antropologi, fra i cinque sensi, la vista è il senso più rilevante seguito a ruota dall’udito. Tuttavia, secondo il sociologo Marshall McLuhan, l’udito consente un maggiore coinvolgimento dell’essere umano nelle sue relazioni con il mondo poiché il suono e il rumore lo investono da ogni lato mentre per vedere dobbiamo dirigere intenzionalmente lo sguardo verso qualcosa. Inoltre, aggiungo, l’udito viene facilmente “saturato”, generando emozioni di ogni genere, grazie al volume del suono o del rumore che avverte e ciò spiega perché in ogni tempo storico, le celebrazioni di ogni indole sono caratterizzate da fragore di vario genere, cori trionfali, fanfare e così via. Questa premessa può essere utile per arrivare a una breve analisi del ruolo che il suono e il rumore hanno in alcuni aspetti della nostra vita sociale contemporanea, con particolare riferimento alle attuali trasmissioni televisive. In queste, nonostante l’immagine svolga il ruolo centrale, il suono ha il compito di sottolineare l’evento attraverso meri frammenti musicali che, secondo chi organizza la trasmissione, dovrebbero alludere, sostenere e amplificare emotivamente un messaggio o, anche, segnalare un telegiornale attraverso una “firma” che si imponga per il suo rumore.

Tuttavia, se ciò può essere accettabile per un messaggio pubblicitario, solo una pessima visione culturale può giustificare, in questi giorni, l’accoppiamento delle sconvolgenti immagini provenienti dall’Ucraina con “colonne sonore” di musica leggera, sempre incomprensibile per la maggioranza perché cantata in inglese, o persino di rock, cioè di quello che Uto Ughi, non a torto, definisce “chiasso spacciato per musica”. Data la triste natura degli eventi, forse il silenzio sarebbe preferibile anche perché, nel frastuono permanente di parole, rumori e, appunto, musiche, che proviene da qualsiasi trasmissione televisiva, l’improvviso vuoto acustico stimolerebbe una più attenta valutazione degli accadimenti riportati attraverso le immagini. Alternativamente, uno sfondo musicale esteticamente di valore e riflessivo darebbe il segno di una maggiore sensibilità, come è avvenuto per un video americano di venti anni fa che, proponendo immagini relative agli avvenimenti di Ground zero a New York, accompagnava la visione con il celebre Adagio per archi di Samuel Barber. Ma, evidentemente, questo è chiedere troppo agli “autori” dei nostri telegiornali o talk show.

Del resto, si tratterebbe di una impensabile stonatura per una società nella quale si applaude vigorosamente durante i funerali quasi imitando, in modo rudimentale e maldestro, i funerali con musica jazz di New Orleans, si battono pentole e scatole a più non posso durante le manifestazioni più diverse, e si accettano, o addirittura si chiedono a gran voce, baccani musicali sulle spiagge, negli stadi, nei bar o nelle “movide”. In definitiva, sembra che il cattivo gusto stia prendendo il sopravvento persino nella musica e nel suo impiego, proprio nell’Italia che se ne diceva orgogliosamente patria. Peraltro, non c’è grande speranza nell’imparare dagli altri Paesi se è vero ciò che sottolineava Herbert Spencer agli inizi del secolo scorso parlando della musica che definiva “allegra”, cioè “musica da cani, la possiamo chiamare, come quella di cui si ha esempio nelle canzoni delle sale di musica e nella maggior parte delle esecuzioni che appagano quelli (ben vestiti o mal vestiti) i quali se ne stanno intorno alle bande sulla riva del mare”.

Aggiornato il 07 giugno 2022 alle ore 09:32