A proposito di competenza

In riferimento alle caratteristiche del virus che ci sta tormentando e anche riguardo all’andamento della pandemia che esso ha innescato, si sottolinea spesso la necessità che, a parlarne pubblicamente, siano solo gli specialisti. Con qualche ragione, gli specialisti fanno d’altra parte notare, non raramente ricorrendo a pungenti polemiche fra loro stessi, le differenze di competenza che sussistono fra un virologo e un epidemiologo, fra un microbiologo e un infettivologo e così via. La cosa è certamente corretta ma, allora, stupisce che uno specialista fra i più attenti alle distinzioni sopra elencate sia giunto in questi giorni ad avanzare proposte in un campo palesemente non suo, ossia quello della cadenza della comunicazione pubblica dei dati epidemiologici e delle sue conseguenze.

Si sostiene che sarebbe il caso di eliminare la pubblicazione giornaliera e fissarla con cadenza settimanale per evitare l’accumulo quotidiano di ansia e angoscia, cioè di fenomenologie di ordine piscologico o persino psichiatrico, dunque estranee alle competenze di un infettivologo. Fra l’altro, per analogia con altri contesti, come la borsa, farebbe venire i brividi l’idea di rendere pubblici settimanalmente le quotazioni delle aziende, rendendo impossibili tempestive decisioni degli operatori, invece che aggiornarle minuto per minuto. Ma, chissà perché, in ambito pandemico dovrebbe essere razionale nascondere i dati per sette giorni di fila rendendo impossibile ai cittadini la valutazione della situazione anche solo nella propria regione e la decisione da prendere in merito a spostamenti, partecipazione ad eventi e così via.

Il guaio è che, come al solito, l’argomento è divenuto immediatamente il tema del giorno anche se prontamente bloccato da una opportuna dichiarazione negativa dell’Istituto superiore di sanità. In effetti, al di là delle ragioni più propriamente tecniche, la fissazione di una cadenza settimanale per la pubblicazione del bollettino sarebbe rischiosa proprio in termini di psicologia sociale. È infatti facile immaginare quale effetto produrrebbe venire informati che, nella settimana appena conclusa, vi sono stati, poniamo, un milione di contagi e duemila decessi così come i dati giornalieri attuali potrebbero far pensare. A generare ansia nelle persone non è certo la cadenza ma la quantità: una “botta” settimanale farebbe sicuramente più male di botte più modeste quotidiane circa un fenomeno, la pandemia, della cui gravità e della cui tendenza va comunque preso atto, per diritto e per dovere individuali e collettivi.

Inoltre, si dimentica che la mancanza di informazione ufficiale genera sempre dicerie e, dunque, per un’intera settimana la gente si chiederebbe ansiosamente come stiano andando le cose. Si moltiplicherebbero così le pseudo-notizie in tutti i mezzi di comunicazione, i “si dice”, i “pare che”, esattamente come accade ogni volta che viene imposto il segreto su qualche fenomeno già avvenuto o in atto, o come avviene durante una guerra o sotto una dittatura. Inevitabilmente notizie di varia attendibilità circolerebbero comunque, innescando un’ansia che arriverebbe al culmine alle ore, per dire, diciotto del giorno stabilito per la comunicazione ufficiale. La reazione successiva sarebbe a sua volta amplificata prendendo la forma di un panico generalizzato se i dati fossero peggiori della settimana precedente o di una esultanza irragionevole se fossero migliori. Insomma, il silenzio non è mai una buona soluzione e non farebbe che aumentare i danni, già elevati, delle chiacchiere basate sull’incompetenza.

Aggiornato il 18 gennaio 2022 alle ore 09:59