Gli ipocriti contro il collaboratore

giovedì 3 giugno 2021


All’indomani della contestata liberazione del boss Giovanni Brusca dopo 25 anni di detenzione, Maria Falcone (sorella del giudice Giovanni Falcone) ha commentato: “Umanamente è una notizia che mi addolora, però questa è la legge, che peraltro ha voluto mio fratello e quindi va rispettata”. È questo il nocciolo della questione: c’è una legge e va rispettata, anche nel caso del pluriomicida Brusca. Il quale, è bene ricordarlo, non si è mai pentito (almeno a memoria di chi scrive) ma ha collaborato con gli inquirenti per chiarire alcuni aspetti degli episodi malavitosi firmati dalla mafia.

Come ha ricordato l’altro giorno sul Corriere della Sera, Giovanni Bianconi, “sempre discusso, ma sempre ritenuto sostanzialmente attendibile, Brusca godeva da tempo di permessi premio, talvolta sospesi quando ne ha approfittato per violare qualche regola ma poi sempre ripristinati”. Mi chiedo: ma dal 2000, anno in cui Brusca ha ottenuto lo status di collaboratore di giustizia, nessuno si è mai accorto che con i benefici relativi lo stesso sarebbe uscito prima dalle patrie galere? E chi oggi scalpita e strilla contro la scarcerazione, non conosceva forse che chi collaborava con i giudici aveva diritto ad una riduzione di pena?

E il leader della Lega (nonché ex ministro degli Interni) Matteo Salvini che fa sapere via social che “dopo 25 anni di carcere, il boss mafioso Giovanni Brusca torna libero. Non è questa la giustizia che gli Italiani si meritano” rappresenta tutti coloro che oggi mostrano indignazione contro una normativa che esiste da parecchi anni e che nessuno ha mai pensato eventualmente di modificare. E molti di quei pentiti si sono talvolta inventati storie al limite dell’inverosimile, pur di ottenere sgravi di pena. Per dirla con Vittorio Sgarbi, qui sì che si è in presenza di una vera trattativa tra Stato e Mafia: il primo rappresentato da giudici, la seconda da detenuti in cerca di limitare i termini della loro detenzione. Ed è quello stesso Stato che, invece, ha fatto letteralmente morire in carcere altri detenuti per mafia al 41 bis che non sarebbero stati in grado (per le loro disperate condizioni di salute) neppure di dare ordini a se stessi.

Ma è anche quello stesso Stato che premia i collaboratori di giustizia. Per dirla sempre con Bianconi, Brusca “all’inizio parlò di patti sottobanco, provò a svelare ambigui contatti con lo Stato e cercò di tirare in ballo l’ex presidente dell’Antimafia, Luciano Violante, ma erano bugie orchestrate per mettere in crisi le istituzioni e il pentitismo. Fallito quel tentativo, Brusca decise di collaborare per davvero, e rivelò tanti particolari della strategia messa in campo da Totò Riina, prima per conquistare Cosa Nostra e poi per attaccare lo Stato. E lui, Brusca, fu uno dei suoi bracci operativi; se non il più fedele, uno dei più efficaci”. Ogni alzata di scudi contro la scarcerazione di ‘u verru è strumentale se non ipocrita.


di Gianluca Perricone