Vittime della Torre piloti di Genova: lettera di una madre al Governo

Sono Adele Chiello Tusa, la madre di Giuseppe Tusa, vittima del crollo della torre piloti di Genova, avvenuto il 7 maggio 2013. Non sono qui per manifestare il mio dolore, quello è solo mio e non lo posso delegare a nessuno. Ma l’esperienza dei miei lunghi e dolorosi otto anni di ricerca della verità mi induce a sollevare questo grave problema alle istituzioni. Non ho colori politici, la mia bandiera è unica per il mio Paese: mi riferisco però a una condizione di diritto per tutti i cittadini che sono stanchi di subire in silenzio un sistema di lucro a svantaggio della vita umana.

La notte della tragedia tutte le tv hanno mandato in onda edizioni speciali. Il giorno dei funerali i riflettori sono stati tutti accesi sulle passerelle dei politici, in molti casi anche con la presenza del presidente della Repubblica di turno. Ascoltiamo frasi di solidarietà – di circostanza – e promesse mai mantenute, “non accadrà mai più”. Il presidente Giorgio Napolitano mi promise, sulla bara di mio figlio Giuseppe, un processo rapido e cristallino.

Il tempo passa e la notizia di una strage scivola sempre più in fondo, finché la notizia va scemando fino al silenzio totale. A questo punto i familiari delle vittime rimangono sole, abbandonate dallo Stato, quello stesso Stato che spesso è colpevole degli eventi. Comincia l’iter di un processo, quasi sempre sconosciuto a noi familiari in una fase di grande fragilità per la grave perdita di una persona cara, ci si ritrova in un’aula di Tribunale a sperare che un cavillo non si trasformi nella beffa dopo il danno subito. Affrontarlo costituisce grande energia emotiva ed economica, quindi cala l’abisso totale e hai solo due alternative: abbandoni tutto e deleghi agli avvoltoi di turno, ti rimbocchi le maniche e devi intraprendere una dolorosa battaglia in giudizio.

Agire, per fare emergere le responsabilità degli atti compiuti in violazione di quei diritti legittimi, e l’accertamento della natura oggettiva del reato, sarebbe stato compito della procura, il pm ha l’obbligo di esercitare l’azione penale. Purtroppo, non è stato così nel processo del crollo della torre e di tanti altri processi italiani. Non era compito mio, pertanto mi sono ritrovata in primis a dover affrontare anche una battaglia con chi mi avrebbe dovuto tutelare: lo Stato. Un grande conflitto: ottenere giustizia dallo stesso colpevole.

Ho dovuto difendere la morte di mio figlio Giuseppe Tusa, ho dovuto urlare per avere voce e per dare voce a una indifferenza totale su un evento così tragico per effetto di condotte illecite. La legge non rispetta la dignità delle vittime e dei suoi familiari, le vittime subiscono gli effetti della negligenza, dell’inerzia, della colpa e spesso anche della malafede di un servizio dello Stato fatto male, che non dovrebbe far parte di uno Stato di diritto uguale per tutti. La prima domanda che mi sono posta è stata: “Chi ha ucciso mio figlio e i suoi colleghi di lavoro?”. Ebbene ho trovato la risposta in ogni concessione edilizia riconosciuta ad una struttura che ha portato un edificio, una scuola, un luogo di lavoro, un ospedale, un binario, una strada, un ponte… e non per ultima una nave, in un luogo in cui non doveva trovarsi.

Ho attraversato l’Italia, dalle Alpi alle Isole, ho incontrato associazioni e singoli genitori, madri, padri, sorelle, fratelli ed amici che si sono visti crollare il mondo addosso per una delle tante stragi d’Italia. Un sistema infrastrutturale che crolla e provoca tantissime vittime. Ultima strage il crollo della funivia di Stresa-Mottarone, manomissioni per ottenere più profitti, 14 vite sterminate e lo Stato continua a non vigilare sulle manutenzioni. Lo Stato chieda scusa, non possiamo diventare i ragionieri dei morti. Siamo indignati!

Ogni impunità produce altre vittime, alimenta la corruzione, le classiche mazzette per gli appalti che vengono autorizzate, senza alcuna vigilanza per la sicurezza dei cittadini. Togliamo il minimo al ribasso negli appalti. È un sistema di corruzione che va fermato con solidi provvedimenti legislativi. Tutti abbiamo il diritto di vedere rispettato il tempo della giustizia, di usufruire di una giustizia di qualità – in quanto a risultati attesi e accettabili – e a non subire altri danni, dovuti alle procedure giudiziarie e soprattutto alla prescrizione del reato.

Un colloquio tra istituzioni e società civile può essere solo costruttivo, non dimenticando che la sovranità appartiene al popolo italiano. Pertanto, auspico che il nostro appello venga ascoltato e questo documento venga valutato dai nostri governanti.

Aggiornato il 28 maggio 2021 alle ore 11:05