L’informazione: un bene pubblico

È passata quasi sotto silenzio la Giornata mondiale della libertà di stampa dedicata quest’anno dall’Unesco all’informazione come bene pubblico. Eppure, la professione giornalistica in Italia è in grave pericolo: l’istituto di previdenza (Inpgi) rischia di essere “commissariato”.

Il bilancio 2020 si è chiuso con un rosso di 242 milioni e 169mila euro che costituisce un record negativo nella lunga storia dell’istituto. Il deficit è andato aumentando, nonostante il sacrificio dei giornalisti pensionati che hanno subito un taglio triennale per tutte le pensioni superiori ai 38mila euro lordi l’anno e al blocco per 9 anni della rivalutazione del trattamento pensionistico.

Le voci che richiedono al governo e al Parlamento d’intervenire si fanno sempre più intense. L’ultima iniziativa è quella della consigliera dell’Inpgi, Marina Sbardella e dell’attuale sindaco e presidente del sindacato cronisti romani, Pierluigi Roesler Franz. In una nota ai vari organi di stampa e trasmissioni televisive viene messo in rilievo il rischio di un clamoroso tracollo dovuto non solo alla gravissima crisi che ha colpito l’industria editoriale, ma anche per la mancanza di politiche governative adeguate.

L’Istituto di previdenza per far fronte agli ammortizzatori sociali della categoria (che sono a carico dell’Inpgi 1) e al pagamento delle pensioni ha sborsato circa 500 milioni di euro e ha dovuto intaccare il patrimonio immobiliare per circa 1 miliardo e 200 milioni. L’elenco delle uscite sociali è lungo e pochi sanno che in base all’articolo 31 dello Statuto dei lavoratori (sono passati 51 anni) l’Inpgi si accolla i contributi figurativi da corrispondere ai giornalisti eletti deputati, senatori, parlamentari europei, sindaci di grandi città, governatori e consiglieri regionali. Oneri che si aggiungono a quelli relativi alla disoccupazione, cassa integrazione, contratti di solidarietà, prepensionamenti a catena da aziende editoriali in crisi, Tfr in caso di fallimento delle imprese.

È allarme rosso. L’istituto è sull’orlo del baratro a causa dello svuotamento delle redazioni di quotidiani, periodici, agenzie di stampa, radio e tv private, ad eccezione della Rai in cui stanno entrando i giovani vincitori del concorsone, anche se con contratto a tempo determinato di due anni. Da una decina di anni si assiste ad una preoccupante riduzione degli organici a tempo indeterminato con la conseguenza che vengono meno i contributi in forma piena.

A fronte di questa crisi (il rapporto giornalisti attivi/ pensionati è di 1,53 in linea con l’andamento dell’Inps) sta crescendo il fenomeno del lavoro autonomo giornalistico con versamento di contributi all’Inpgi 2 che grazie al boom degli iscritti presenta un bilancio in attivo. Cosa si può fare? Quali soluzioni adottare? I giornalisti Marina Sbardella e Pierluigi Roesler Franz (34 anni di cronista giudiziario nelle redazioni romane del Corriere della Sera e de La Stampa) hanno puntualizzato più volte i percorsi da attuare per salvare l’Inpgi, considerato dalla Suprema corte di Cassazione “un unicum” nel panorama degli enti previdenziali italiani.

Nato nel 1926 è l’unico ente sostitutivo dell’Inps sulla base dell’articolo 38 della Costituzione e alla legge Rubinacci del 1951 ancora in vigore e privatizzato come fondazione dal 1994 sulla base di un decreto legislativo del governo Berlusconi. Per evitare il Commissario, previsto per dopo il 30 giugno, le carte sono tutte sul tavolo del presidente Mario Draghi. Non è più tempo di misure minime.

Aggiornato il 10 maggio 2021 alle ore 10:35