Innocenti in carcere: una ferita profonda

Non è più rinviabile la riforma del sistema giudiziario italiano come una trasversale – non estemporanea – mobilitazione del Parlamento sul tema drammatico del non funzionamento di un settore, fondamentale, come la giustizia. Tema ben chiaro al ministro Marta Cartabia, che necessita di un lavoro comune, il quale dia agli italiani le garanzie che oggi mancano.

Viene in mente il tema degli innocenti condannati, ad esempio. Italiani che sono stati mandati in carcere pur non avendo commesso i reati a loro contestati. Ed alcune vicende sono non solo clamorose ma drammatiche. Non possiamo non ricordare l’ultimo pronunciamento della Cassazione, del 9 marzo scorso, che ha confermato 6 anni di reclusione per il regista Ambrogio Crespi, accusato di “associazione esterna di stampo mafioso” (il suo principale accusatore ha chiesto scusa, sottoposto a perizia psichiatrica, è stato dichiarato “non attendibile”, ndr). La condanna di Ambrogio Crespi, autore di alcuni straordinari docu-film di lotta alla mafia, ha mobilitato migliaia di persone (su Facebook è stata creata la pagina “Giustizia per Ambrogio Crespi” e qualche giorno fa è nato il comitato “Nessuno tocchi Caino per Ambrogio Crespi”, ndr).

Fu l’allora ministro della Giustizia, Andrea Orlando, a definire il docu-film di Crespi “Spes contra Spem” un “manifesto contro la mafia”, accompagnando il regista al Festival del cinema di Venezia. Se un innocente, emblema della lotta alla mafia, finisce in carcere in questo Paese, il dramma non può riguardare solo i parenti ed amici (per permettere a chiunque di conoscere la vicenda è scaricabile dal sito il libro “Il caso Crespi” di Marco Del Freo, ndr) ma tutti gli italiani onesti e che credono ancora nella giustizia come garanzia dei diritti e della civiltà, valori ultimamente stracciati ed umiliati dall’oblio della memoria. Senza memoria non c’è futuro, la memoria della “ingiustizia nel nome della Giustizia” caratterizza la cultura italiana, basti ricordare “Il caso Tortora” ed il finale della vicenda, che resta ancora una delle pagine più terribili della storia giudiziaria di questo Paese.

Sarebbe anche necessario ripristinare la definizione “grazia” accanto a “giustizia” nella denominazione del ministero. Può un Paese civile vivere di giustizia senza grazia? Si può omettere la possibilità di utilizzare la grazia per i danni arrecati agli innocenti nel sistema della giustizia? Può l’Italia continuare a mettere “la testa sotto la sabbia”, come gli struzzi, e non vedere quanti errori, drammi, ingiustizie e sofferenze continuano ad accadere “in nome della giustizia”?

Infine, può quel popolo che viene citato dai giudici prima di ogni pronunciamento di sentenza (“in nome del popolo italiano”) disinteressarsi di questa realtà? La ferita degli innocenti in carcere brucia, è profonda. E la portiamo tutti, ogni giorno, sulla nostra pelle.

Aggiornato il 01 aprile 2021 alle ore 09:35