Coronavirus: un focus sulla situazione carceraria

Una tematica importante, oggetto d’esame, è riscontrabile nelle tutele patrimoniali per gli eventuali danni biologici, a medio e lungo termine, che si dovessero verificare a seguito della vaccinazione. Per quanto attiene all’efficacia dei vaccini, i dati disponibili sulla immunizzazione dopo sei mesi dalla loro somministrazione ancora non sono stati resi pubblici, così come i dati sulla sua sicurezza nel medio e lungo termine. Qualora si verificassero danni biologici permanenti, nel medio e nel lungo termine, in soggetti sottoposti alla vaccinazione, poiché la vaccinazione è volontaria e per poter essere sottoposti alla stessa occorre firmare un modulo dove si riporta chiaramente che i danni a lunga distanza non sono prevedibili, i dipendenti che con sacrificio stanno lottando in prima linea contro la pandemia e che si vogliono sottoporre a vaccinazione, senza avere notizia sugli effetti collaterali, potrebbero subire la beffa, a seguito dell’insorgenza di danni. Ossia non avrebbero diritto ad alcuna forma d’indennizzo.

Premesso quanto sopra, è da segnalare la delicata situazione all’interno delle carceri, ove la stessa detenzione è un fattore di aumento del rischio, poiché i detenuti vivono in un ambiente già di per sé malsano e sovraffollato. Nelle case di pena sia i detenuti comuni, sia i reclusi nelle sezioni di massima sicurezza, vengono a contatto con gli operatori carcerari, a partire dalle guardie penitenziarie, e con i familiari. Inoltre, è da rimarcare che il detenuto asintomatico non viene sottoposto a nessun tampone e quello sintomatico è isolato a titolo preventivo, in apposite sezioni separate, per circa 10-14 giorni. Dopo questo periodo, viene nuovamente testato e, se risulta negativo, è rinviato nelle celle di detenzione ordinarie. Pertanto, anche in questo caso, alla luce della normativa citata e del prefato parere dell’Inail si configurano responsabilità da indennizzo sia per il detenuto, sia del personale che opera a vario titolo all’interno del penitenziario (guardie, operatori, volontari, medici, psicologi, educatori, assistenti sociali, avvocati).

É lapalissiano, quindi, che le problematiche per il rischio d’infortunio da Covid-19 all’interno delle carceri rappresentino un problema che travalica il perimetro della casa di pena, essendo quest’ultima connessa con l’esterno. Si può sicuramente affermare che la malattia da Coronavirus va correttamente configurata come infortunio sul lavoro. Tale collocazione garantisce senz’altro una più ampia tutela dell’evento, quantomeno perché così l’Inail interviene non solo nelle ipotesi in cui il lavoro ne sia stato la causa (come avverrebbe, ai sensi dell’articolo 3 del Testo unico numero 1124/65, se si trattasse di tecnopatia), ma anche quando il lavoro ne rappresenti la semplice occasione (vedi articolo 2 del Testo unico).

Come noto, la malattia da Coronavirus provoca conseguenze significative, fino al decesso, soprattutto in persone che già soffrono di altre patologie importanti o, comunque, molto anziane. In altre parole, il virus è spesso una semplice concausa del danno. Tuttavia, ciò non preclude né limita la tutela Inail. È infatti pacifico, nella giurisprudenza infortunistica e sulle malattie professionali il riferimento all’articolo 41 del Codice penale, secondo il quale il rapporto causale tra evento e danno è governato dalla regola dell’equivalenza delle condizioni. Ciò significa che va riconosciuta l’efficienza causale a ogni antecedente che abbia contribuito, anche in maniera indiretta, remota o in veste di fattore accelerante alla produzione dell’evento stesso (si confronti, tra le tante, Cassazione 7 novembre 2018 numero 28454; Cassazione 19 giugno 2014 numero 13959; Cassazione 21 gennaio 1998 numero 535).

La Polizia penitenziaria, o gli altri lavoratori in ambiente carcerario, meritano la stessa tutela del personale medico, quando l’attività lavorativa rappresenti la causa del contagio, purché dimostrino la positività al test o, comunque, l’esistenza della patologia e il contatto con persone ammalate in ambiente lavorativo.

Un provvedimento di fondamentale importanza che si sta affacciando ora, quale intervento di prevenzione mirata, è rappresentato dalla vaccinazione anti Covid-19 che sarà oggetto di una prossima discussione in questa sede. La popolazione detenuta, la Polizia penitenziaria e tutti gli operatori che lavorano in ambiente penitenziario sono stati identificati a rischio di infezione maggiore, rispetto al resto della popolazione e, per questo motivo, hanno avuto la precedenza nella somministrazione del farmaco rispetto ad altre categorie. In molte regioni sono già iniziate le vaccinazioni ai detenuti e al personale penitenziario. Il problema, per questi soggetti, è rappresentato, piuttosto, da un minor riconoscimento, rispetto al personale sanitario, di sussistenza del nesso eziologico con l’attività lavorativa.

La maggiore difficoltà di avvalersi delle presunzioni, tuttavia, non preclude agli interessati la possibilità di far riferimento alla specificità delle mansioni e del lavoro svolto, alla diffusione del virus nella località o nell’azienda dove operano e agli altri fatti noti, dai quali sia possibile trarre presunzioni gravi, precise e concordanti, ai fini della prova presuntiva del rapporto causale o, meglio, di occasionalità della patologia da Covid-19 con l’attività protetta.

(*) Con la collaborazione del Centro studi penitenziari del Coordinamento nazionale operatori per la salute nelle carceri italiane

Aggiornato il 25 marzo 2021 alle ore 10:36