Domande senza risposta sulla pandemia

giovedì 25 marzo 2021


Il mio amico Silvano Silvi, tecnico nel campo della sicurezza sul lavoro, il quale sta eseguendo da un anno una certosina raccolta e analisi dei numeri relativi alla pandemia di Sars-Cov-2 (dati reperibili sul suo blog), ha sintetizzato in maniera estremamente efficace alcune fondamentali domande le quali ancora non trovano risposta e che, proprio per questo, ritengo importante rendere pubbliche.

Perché continuiamo a perseguire ciecamente il dogma del tracciamento a tutti i costi, quando sappiamo sin da agosto 2020 che i contagi sono del tutto fuori controllo?

L’Indagine di Sieroprevalenza condotta dall’Istat nel periodo maggio-luglio 2020 (i cui risultati preliminari sono usciti il 3 agosto 2020, ma ancora, dopo quasi 8 mesi, il rapporto definitivo non vede la luce) dimostrava che al tempo i contagi reali erano 6 volte quelli rilevati con i tamponi; a risultati simili sono giunti anche gli analoghi studi condotti un po’ in tutto il mondo (nota del 27 gennaio).

Perché continuiamo a pensare che il numero dei contagi rilevati con i tamponi sia un dato affidabile, quando sappiamo sin da agosto 2020 che non lo è?

Ricordiamoci che su questo numero si basa il famoso Rt, nonché ben 9 dei 21 indicatori utilizzati dal ministero della Salute per attribuire i colori alle regioni (stessa nota del 27 gennaio).

Perché ci siamo concentrati (e ancora oggi ci concentriamo) sul tracciamento, spendendo delle cifre esorbitanti per avere dati inutili quando, limitandoci ai tamponi diagnostici (gli unici utili), con i soldi risparmiati potevamo approntare altri 10mila posti in terapia intensiva?

Peraltro, in questo modo saremmo passati dagli odierni 14 posti per 100mila abitanti a 31 (quasi come la Germania, che ne ha 34, dato 2019) e non avremmo alcuna sofferenza degli ospedali (nota del 17 febbraio).

Perché l’Italia, col suo Sistema sanitario nazionale tra i migliori del mondo, ha un tasso di mortalità (morti/popolazione) che la pone al centonovantaduesimo posto su 201 nazioni del mondo?

La Germania ha un tasso di mortalità più basso del nostro del 48 per cento, la Francia del 20 per cento, la vituperata Svezia del 23 per cento (come il “delinquenziale” Brasile), l’Olanda del 45 per cento (dati Worldometer). Siamo più cagionevoli degli altri? O, più verosimilmente, c’è qualcosa che non va nei nostri conteggi?

Perché consideriamo questa malattia come la peste del secolo, quando i suoi tassi di mortalità sono simili a quelli di altre pandemie influenzali del passato?

Ad esempio, simili dati si rilevarono con la Asiatica del 1956 e la Hong-Kong del 1968, ma nessuno al tempo reagì come si è fatto oggi (nota del 3 febbraio).

Perché continuiamo a confondere il contagio con la malattia, quando sappiamo che oltre il 99 per cento di chi si contagia non ha sintomi o (in non oltre nel 25 per cento dei casi) ha solo i sintomi lievi di una normale influenza?

Anche nella fascia 80-89 anni (quella più colpita dagli esiti fatali) i sintomi gravi si limitano ad un 20 per cento di casi… sovrastimati, dato che gli asintomatici sono invece pesantemente sottostimati (Sintesi aggiornata al 10 febbraio, domanda 4).

Perché continuiamo con questa enfasi sui morti tra i sanitari?

I sanitari sono morti come tutti gli altri cittadini italiani, anzi con un tasso di letalità medio molto più basso che nella popolazione generale (nota del 18 ottobre).

Perché vogliamo vaccinare oltre 40 milioni di persone per raggiungere una immunità di gregge che non serve a niente, quando basterebbe vaccinarne la metà per ottenere un risultato anche migliore?

L’immunità di gregge è infatti impossibile, dal momento che il vaccinato è difeso dalla malattia ma non dal contagio e può continuare a trasmetterlo; ed è inoltre inutile, dal momento che, per le stesse ragioni, basterebbe somministrarlo alle sole persone a rischio (anziani e malati) e ai sanitari, per ottenere lo stesso – anzi migliore – risultato (cioè l’immunità per i fragili e per chi se ne deve occupare, come nelle note del 18 marzo e del 27 dicembre).

Ora, è quasi pleonastico dire che sottoscrivo punto per punto questo lungo elenco di quesiti delle cento pistole che, a quanto pare, a livello di mainstream mediatico, alias giornale unico del virus, a nessuno sembra passare neppure nell’anticamera del cervello, anche solo per un singolo aspetto. Essendo passata da tempo una linea comunicativa del tutto irrazionale, con cui si continua a descrivere il Coronavirus come una sorta di raggio della morte che colpisce a casaccio, non sembra esserci alcuno spazio per un approccio razionale, di cui le suddette domande rappresentano un ottimo esempio.

D’altro canto, se si cominciasse a districare l’ingarbugliata matassa di paura e di restrizioni, che sta letteralmente soffocando il Paese da oltre un anno, il castello di carte false, sul quale si regge un regime sanitario che non ha precedenti nella storia, crollerebbe d’incanto. Se realmente la maggioranza dei cittadini terrorizzati, molti dei quali indossano la mascherina pure in macchina per il terrore di restare fulminati da un momento all’altro, comprendessero razionalmente che il rischio di ammalarsi seriamente di Covid-19 è molto basso, per una persona relativamente in buona salute, allora forse questo disgraziato Paese avrebbe una chance in più di salvezza.

Ma per fare questo l’unica strada è quella indicata da Silvano Silvi: porsi le domande giuste e tentare di rivolgerle a chi di dovere.


di Claudio Romiti