La pandemia cancella dal mercato 30mila liberi professionisti

L’onda d’urto provocata dall’emergenza Covid-19 si infrange in modo violento sulle libere professioni. Nei primi sei mesi del 2020, oltre 30mila liberi professionisti (in prevalenza donne) hanno dovuto abbandonare la propria attività a causa della crisi innescata dalla pandemia, cui si aggiungono circa 170mila lavoratori indipendenti su una platea di oltre 1,5 milioni di lavoratori autonomi bloccati dal primo lockdown (dati fino a 3 maggio 2020). I settori professionali più colpiti sono quelli legati al commercio, finanza e immobiliare con un calo di quasi il 14 per cento nel primo trimestre del 2020 e si registrano contrazioni anche tra le professioni dell’area tecnica (-5,7 per cento) e amministrativa (-2,5 per cento). Pesante anche il bilancio per i professionisti-datori di lavoro che nel primo trimestre del 2020 registrano una flessione del 16,7 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. La contrazione insiste prevalentemente nel Nord Italia (-23,9 per cento), dove scende anche il numero di liberi professionisti senza dipendenti, e nel Centro Italia (-28,3 per cento). In netta controtendenza il Sud Italia, dove la variazione risulta invece positiva per entrambe le componenti e a crescere è soprattutto il numero di datori di lavoro (+15,9 per cento).

Lo stato di emergenza economica dei professionisti è confermato anche dal massiccio ricorso alle misure di sostegno messe in campo nei vari Dpcm varati durante la pandemia. Ad aprile, le casse di previdenza professionali hanno accolto oltre 400mila domande per l’indennità dei 600 euro, introdotta dal decreto “Cura Italia”; a maggio sono quasi 5 milioni le domande dei lavoratori autonomi iscritti alla gestione separata pervenute all’Inps, con una percentuale di accoglimento che supera l’80 per cento. Le categorie che hanno fatto maggior ricorso alle indennità sono gli psicologi e i geometri, con una percentuale di domande presentate superiore al 60 per cento. Seguono gli avvocati, gli ingegneri, gli architetti, e i veterinari con percentuali intorno al 50 per cento. Tutte le altre categorie si attestano sotto il 40 per cento, mentre in coda, sotto il 12 per cento, troviamo quasi tutte le professioni sanitarie e i notai. È questa la fotografia del settore professionale che emerge dal “V Rapporto sulle libere professioni in Italia 2020”, curato dall’Osservatorio libere professioni di Confprofessioni, coordinato dal professor Paolo Feltrin, e presentato a Milano in diretta streaming, che ha visto la partecipazione di Tiziano Treu, presidente del Cnel (Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro); del viceministro dell’Economia, Antonio Misiani; del sottosegretario al Lavoro, Francesca Puglisi; del vicepresidente della commissione Finanze della Camera, Alberto Gusmeroli; del capogruppo di Forza Italia alla Camera, Maria Stella Gelmini; Michele Gubitosa della Commissione parlamentare per la semplificazione e di Ylenja Lucaselli della xommissione Bilancio della Camera.

“L’impatto del Covid-19 sul lavoro indipendente è stato pesantissimo. Nei primi sei mesi del 2020 l’intero comparto perde circa 170mila lavoratori, di cui 30 mila sono liberi professionisti”, commenta il presidente di Confprofessioni, Gaetano Stella. “Tale flessione va valutata tenendo d’occhio anche le dinamiche di lungo periodo. Per ragioni strutturali, nell’ultimo decennio il lavoro indipendente era già sotto pressione (-735mila lavoratori circa), colpito da una silenziosa rivoluzione interna nei flussi di entrata e di uscita. Nelle fasce di età più giovani mancano all’appello quasi 1 milione di persone: un crollo solo in parte compensato dalle fasce di età più anziane e dai nuovi ingressi dei laureati (+372 mila), che di norma si vanno a collocare tra i liberi professionisti”.

I professionisti nel mondo del lavoro

Con poco più di 1,4 milioni di unità, il comparto dei liberi professionisti costituisce nel 2019 oltre il 6 per cento degli occupati in Italia e il 27 per cento del complesso del lavoro indipendente. Secondo i dati Istat, elaborati dall’Osservatorio libere professioni, si tratta di un aggregato in forte crescita: nel 2019 si contano quasi 300mila professionisti in più rispetto al 2009 (+18 per cento). Insieme alla categoria degli imprenditori, che conta numeri più contenuti, le libere professioni rappresentano l’unico segmento in crescita all’interno del lavoro indipendente, in tendenziale declino nell’ultimo decennio (- 730mila unità). Il trend di crescita trova conferma nel contesto europeo dove la quota dei liberi professionisti passa dai poco più di 5 milioni del 2009 agli oltre 6,4 milioni del 2019 (+26,5 per cento).

Ripartizione geografica dei professionisti

Oltre la metà dei liberi professionisti risiede nel Nord Italia, dove prevalgono soprattutto le professioni scientifiche e quelle che operano nei servizi alle imprese. Tuttavia, il rapporto di Confprofessioni evidenzia la notevole crescita registrata al Sud, tra il 2011 e il 2019, delle attività veterinarie e scientifiche (+76,5 per cento), dei servizi alle imprese (+40 per cento) e del commercio (+23,2 per cento). Le dinamiche a livello territoriale mostrano invece come l’aumento delle professioni socio-sanitarie interessi in modo esplosivo il Nord (+60,3 per cento), mentre al Centro si conferma l’intensa crescita delle attività veterinarie e scientifiche (+50,2 per cento) e socio-sanitarie (+43,3 per cento).

L’identikit del professionista

L’indagine condotta dal professor Feltrin fotografa una realtà in continuo movimento dove emergono significative differenze generazionali e di genere. Tra il 2011 e il 2019 il numero dei giovani professionisti under 34 passa da 234mila unità a 251mila, mentre gli over 55 salgono da 270mila nel 2011 a 435 mila nel 2019. Il contributo degli under 34 è maggiore nel settore dei servizi alle imprese (22 per cento) e in quello delle attività scientifiche e veterinarie (20 per cento), i professionisti con oltre 55 anni hanno invece un peso molto elevato nell’area socio-sanitaria (40 per cento) e nell’area del commercio (35 per cento). Non solo: l’indagine di Confprofessioni mette in evidenza un marcato gap di genere, dove prevale la componente maschile: nel 2019 il 64 per cento dei liberi professionisti sono uomini. Le donne rappresentano soltanto il 36 per cento, ma sono più giovani (35-44 anni l’età media contro i 44-55 degli uomini) e possiedono un livello di istruzione più alto (l’80 per cento è laureata contro il 61 per cento dei colleghi). Un buon gender balance si registra nell’area socio-sanitaria dove la presenza femminile sale al 50 per cento e nell’area legale con il 48 per cento. Tra le professioni di area tecnica e nel commercio, le donne pesano solo rispettivamente il 24 per cento e il 22 per cento.

Gender balance e laureati

Se si osservano i dati del primo trimestre 2020, si nota che l’Istat stima un calo del numero di liberi professionisti (-1,2 per cento) leggermente più marcato rispetto a quello dell’anno precedente (-0,2 per cento). La diminuzione sembrerebbe riguardare soprattutto la componente femminile (-2,6 per cento) risultando molto più contenuta per i maschi (-0,4 per cento). Il segno negativo è prevalentemente a carico degli under 34 (-11 per cento), mentre la crescita maggiore si riscontra nella fascia 45-54 anni (+4 per cento). Il titolo di studio gioca un ruolo importante nelle dinamiche del lavoro professionale. Nel 2019 l’Università italiana ha laureato circa 290mila studenti (100mila in più rispetto al 2009), concentrati soprattutto nelle discipline “Economico-statistico”, “Ingegneria”, “Medico”, “Politico-sociale” e con una prevalenza di genere femminile (59 per cento) rispetto a quello maschile (41 per cento). Tuttavia, l’appeal verso la libera professione risulta piuttosto variabile. L’86 per cento dei neolaureati nel 2019, infatti, afferma di essere “decisamente disponibile” a forme di lavoro dipendente (contratto a tempo indeterminato/a tutele crescenti, determinato, somministrazione e apprendistato), mentre solo il 28 per cento si dice propenso a forme di lavoro autonomo e in conto proprio, soprattutto tra i laureati in psicologia e nelle discipline scientifiche e ingegneristiche. Eppure, i professionisti con laurea sembrano pagare meno lo scotto della crisi economica indotta dall’emergenza sanitaria e dal lockdown, i dati mostrano infatti un calo del 6 per cento circa per i professionisti non laureati e del 2,4 per cento per i professionisti con laurea. “Il dato è sicuramente correlato al tipo di professione svolta – a risentire maggiormente della crisi è stata l’occupazione nel commercio, che meno spesso richiede un titolo di studio universitario, anche nel caso delle libere professioni” spiega Paolo Feltrin, curatore del Rapporto 2020. “Al contempo è possibile ipotizzare un qualche effetto “protettivo” della laurea nei confronti dei rischi di inoccupazione, soprattutto se si considera che nell’anno precedente la variazione tendenziale è stata positiva per i laureati e negativa per i professionisti con titolo di studio inferiore”.

I redditi dei professionisti e le forme societarie

Tra il 2014 e il 2019, il comparto libero professionale ha visto aumentare molto la componente non ordinistica, ovvero i professionisti iscritti alla Gestione separata Inps (+23 per cento). Nel 2019 si contano quasi 150mila professionisti in più rispetto al 2014, di cui circa la metà (poco meno di 72mila) iscritti alla gestione separata Inps. Tuttavia, i professionisti con Cassa di previdenza privata si caratterizzano per un reddito medio in crescita (+4,4 per cento) e pari a 35mila euro al 2019, mentre i secondi vedono calare in misura significativa i propri introiti (- 10 per cento) che si attestano al 2019 su una cifra poco superiore ai 15mila euro, meno della metà di quella delle professioni ordinistiche. Il V Rapporto sulle libere professioni in Italia ridisegna la mappa delle forme societarie del settore professionale. Prendendo in esame il periodo 2012-2018 emerge come le imprese individuali rappresentino ancora il 50 per cento nell’ambito delle attività professionali, scientifiche e tecniche (dato che sale al 65 per cento nell’area della sanità e dell’assistenza sociale), mentre il settore dell’informazione e comunicazione risulta costituito per oltre il 70 per cento da società di capitale. Tuttavia, negli ultimi anni, sottolinea il Rapporto, si registra una tendenza comune tra i tre settori che indica un aumento delle società di capitale e una diminuzione delle imprese individuali e delle società di persone, confermando quei processi di rafforzamento della struttura d’impresa che normalmente si accompagnano ad una maggiore competitività.

I dati sugli infortuni nel comparto libero professionale

Le analisi relative agli infortuni sul lavoro coprono il periodo 2014-2020. Secondo i dati dell’Inail, elaborati dall’Osservatorio, il trend generale degli infortuni sul lavoro va riducendosi di anno in anno, ma nel 2020 tale riduzione risulta particolarmente significativa: nei mesi di marzo e aprile 2020 la variazione rispetto agli stessi mesi del 2019 sfiora il 33 per cento. Per quanto riguarda le attività professionali, il calo del numero di infortuni è pari al 54,6 per cento e interessa tutte le regioni (con la sola eccezione del Piemonte, + 3 per cento). “La riduzione degli infortuni che si osserva nelle attività professionali e in tutti i settori occupazionali ad eccezione del comparto sanitario è imputabile in buona misura alla diminuzione di ore lavorate, a causa del lockdown e del blocco imposto a larga parte delle attività”, commenta Feltrin “anche la riduzione degli spostamenti casa-lavoro – connessa in parte al blocco delle attività e in parte allo smartworking – ha avuto un effetto sui dati relativi agli infortuni”. L’unico settore in controtendenza è quello socio-sanitario che registra una vera e propria impennata degli infortuni, pari addirittura al +315,2 per cento (da 5mila a oltre 19mila), un dato fortemente condizionato dagli eventi di contagio da Coronavirus in ambito lavorativo, cui sono stati esposti gli operatori sanitari. Le regioni che registrano la maggior crescita di infortuni sul lavoro nel comparto socio-sanitario sono quelle maggiormente colpite dalla pandemia, con il 34 per cento dei casi localizzato in Lombardia. Gli infortuni riguardano in 3 casi su 4 la popolazione femminile.

Le misure del sistema Confprofessioni durante il lockdown

Fin dai primi giorni dell’emergenza, Confprofessioni si è schierata in prima linea per assicurare, attraverso gli strumenti della bilateralità, interventi concreti a favore dei liberi professionisti colpiti da un’emergenza sanitaria ed economica. Le misure messe in campo hanno permesso agli studi professionali di poter proseguire, per quanto possibile, l’attività, e di sostenere la salute ed il reddito dei lavoratori in un momento di crisi. “Nei mesi del Covid-19, tra risorse erogate e risorse stanziate, il sistema Confprofessioni, di sua iniziativa, tramite l’Ente bilaterale Ebipro, ha messo a disposizione per gli studi professionali oltre 30 milioni di euro”, chiosa Stella “il welfare che il nostro sistema ha promosso ha agevolato la possibilità di mantenere aperti gli studi e dare garanzie di continuità di servizio, in sicurezza, in modo flessibile e offrendo ai lavoratori benefici per conciliare il lavoro con le esigenze familiari, anche perché i professionisti hanno affrontato l’emergenza in prima linea: in primis le professioni sanitarie, ma anche i commercialisti e i consulenti del lavoro che hanno contribuito ad assicurare l’accesso alle prestazioni emergenziali da parte delle imprese e dei lavoratori”.

Aggiornato il 26 gennaio 2021 alle ore 12:44