Era ampiamente previsto che subito dopo la pubblicazione da parte della Sogin – la Società che gestisce gli impianti nucleari presenti sul territorio italiani – del progetto di massima del Deposito nazionale dei rifiuti radioattivi a bassa e media attività e della relativa Cnapi (Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee, ovvero dei siti atti ad ospitarlo) si sarebbero riscontrate reazioni avverse da parte delle comunità prossime ai siti individuati e dei rispettivi amministratori locali. D’altronde i cittadini italiani avevano chiaramente espresso a quasi totale maggioranza, sia pure non formalmente in quanto i referendum non lo chiedevano esplicitamente, il desiderio di rinuncia alla produzione (ma non all’utilizzo) dell’energia di tipo elettronucleare che genera la maggior parte di questo tipo di rifiuti. Meno prevedibili, e per alcuni versi anche sorprendenti, sono state invece le reazioni a livello nazionale dei politici e delle associazioni ambientalistiche, che avrebbero dovuto essere a conoscenza dei disposti del decreto legislativo 31 del 2010, che già programmava la pubblicazione di detta Cnapi, cui sarebbe seguita una procedura che, partendo da una consultazione pubblica, era finalizzata alla scelta del sito ottimale per l’opera: esse hanno infatti accusato il Governo di avere operato sotto traccia e di avere reso pubbliche le risultanze della ricerca in modo non preannunciato in piena emergenza Covid.

Ma sorprendenti non più di tanto, se si riflette sul fatto che oggi come oggi il compito primario dei politici (diverso, se vogliamo da quello della politica classica, ma simile a quello della moderna politica funzionale) è quello di convogliare a proprio favore i consensi elettorali: è assodato che questi si acquisiscano solo in minima misura per mezzo dell’esposizione di un “credo” o di un ideale sociale, mentre la raccolta di adesioni su tematiche di natura trasversale che il cittadino percepisca particolarmente impattanti fornisce risultati quantitativamente più soddisfacenti. E l’opposizione ad un’opera che è pur sempre un’installazione di tipo nucleare non può che servire alla causa; un atteggiamento neutro potrebbe comportare comunque diminuzione di consenso. Nel caso in esame, la rincorsa al consenso è quanto mai allargata: se l’amministratore locale punta sulla difesa della propria comunità, evocando anche danni di natura turistica ed economica alla zona, a livello nazionale il politico può sfruttare la paura, automaticamente ingenerata, che l’opera possa essere realizzata altrove sul territorio nazionale. Opponendosi alla realizzazione di un’opera di cui è facile affermare l’inutilità e la potenziale nocività (la dimostrazione del contrario è ottenibile solo attraverso considerazioni di natura tecnico-specialistica di complessa esposizione), il politico appare quindi più vicino a reali ma più immediati bisogni del cittadino: meglio l’uovo di oggi (nessun disturbo percepibile dalla comunità) che la gallina di domani (vantaggi economico-sociali dell’intera collettività e maggior sicurezza in orizzonte temporale più esteso).

Considerazioni sul tipo di opera proposta

Sull’effettiva inutilità e nocività dell’opera, tuttavia, qualche dubbio potrebbe sorgere osservando esperienze estere a noi vicine, dove opere della fattispecie, peraltro realizzate a valle di processi compartecipati, non hanno provocato danni né all’ambiente, né alla salute delle popolazioni viciniori, e tanto meno alle economie locali, alle quali invece hanno fornito maggior impulso in termini di posti di lavoro, maggiori controlli ambientali, indotto. Risulta estremamente difficile dare risposta a questi dubbi con le argomentazioni discorsive e sintetiche tipiche del dibattito mediatico, che non abbisognano del ricorso a propedeutiche conoscenze tecnico-scientifiche. Appare quindi inutile, per gli assertori della necessità del progetto, dimostrarne la bontà, che pur si basa su considerazioni sufficientemente intuitive:

1- i rifiuti radioattivi (che non provengono solo dalle centrali nucleari) nelle società evolute sono stati, sono e saranno sempre prodotti nell’industria e nelle terapie mediche;

2- una loro raccolta in unica struttura interrata è comunque soluzione più sicura ed economica di ogni altra opzione di smaltimento, e soprattutto dell’attuale situazione, essendo essi presenti negli impianti nucleari non ancora dismessi, negli ospedali, in magazzini industriali e caserme;

3- anche se la radioattività al sito risulterà minimamente più alta a quella comunque già presente, i suoi valori saranno di un ordine di grandezza inferiore a quelli di molte zone italiane ufficialmente “denuclearizzate” e ad alto richiamo turistico;

4- per la massività dell’opera il rischio sismico è praticamente nullo, anche a fronte di un terremoto che radesse al suolo tutti gli edifici e le strutture della zona;

5- inondazioni ed eventi metereologici estremi che potrebbero causare gravi danni a infrastrutture ed attività locali, non comprometterebbero la funzionalità del deposito;

6- grazie alle moderne tecnologie di monitoraggio, ogni minima anomalia sarebbe rilevata in tempo reale, con ampi margini di intervento;

7- i materiali utilizzati per il contenimento sono progettati per una durabilità plurisecolare, mentre edifici e infrastrutture civili lo sono generalmente per un massimo di 100 anni;

8- il tempo di decadimento delle sostanze radioattive, pur sempre lungo, è inferiore alla durata infinita di altri tipi di scorie nocive e indistruttibili, quali l’amianto e i gas industriali rilasciati nell’atmosfera;

9- i tanto temuti “cambiamenti climatici” non possono avere alcun effetto su un’opera interrata, né questa li potrebbe influenzare;

10- non risulta che analoghe soluzioni estere abbiano danneggiato l’economia locale (in Francia, un deposito è stato realizzato nella regione ove si produce lo champagne).

Si obietta infatti che queste asserzioni debbano essere supportate da opportune dimostrazioni scientifiche e/o proiezioni economico-finanziarie. Ma ogni trattazione in merito sarebbe comunque opinabile in quanto priva della cosiddetta “credibilità”, ovvero dell’unanime riconoscimento dell’autorevolezza della fonte, utopicamente preteso ma realisticamente non perseguibile.

Futuri scenari ipotizzabili

Tutto ciò porterà inevitabilmente al blocco, formalmente provvisorio, di un’altra opera di valenza nazionale per la quale, a differenza di altre, è difficile evidenziare intuitivamente una pur minima utilità: infatti, il Ponte sullo Stretto o l’Alta Velocità, che qualche vantaggio potrebbero pur arrecare, vengono bloccati anche solo attraverso l’enfatizzazione degli oneri di costruzione, invalidando anche la più corretta analisi costi-benefici con la modifica delle sue condizioni al contorno. Al momento è difficile fare previsioni sull’evolversi della vicenda, che, se non fosse per l’emergenza sanitaria in atto, avrebbe innescato un ben più acceso dibattito mediatico, con chiamata in causa delle istituzioni coinvolte. Si possono però ipotizzare due opposti scenari estremi, e uno intermedio, ovvero:

1- l’avanzamento della procedura prevista dal Decreto legislativo 31 del 15 febbraio 2010;

2- l’abolizione del Decreto legislativo 31 del 15 febbraio 2010, o una sua parziale modifica;

3- il congelamento dello status quo.

Nel seguito si analizzano, aggiungendo nel contempo proposte e suggerimenti in corrispondenza.

Scenario A

Secondo la procedura meglio dettagliata all’articolo 27 del decreto, sarà a breve organizzato un Seminario nazionale, al quale saranno invitati gli Enti locali e le Regioni di appartenenza delle aree interessate, nonché portatori di interessi e Istituzioni scientifiche, e sulla base delle osservazioni di tali soggetti, la Sogin escluderà alcuni dei siti proposti con contestuale redazione della Cnai, la Carta nazionale delle aree idonee, sotto il controllo di Isin (Ispettorato nazionale per la sicurezza nazionale e la radioprotezione) attraverso i ministeri competenti.

Successivamente è previsto che, a meno di inimmaginabili auto-candidature delle Regioni interessate, vengano avviate trattative bilaterali con dette Regioni. Nel verosimile caso di ulteriore insuccesso, il Consiglio dei ministri dovrebbe provvedere, attraverso l’istituzione di apposita Commissione e con deliberazione motivata, all’individuazione del sito, sul quale dovranno essere effettuate approfondite ed ulteriori indagini, sino all’ottenimento della licenza alla costruzione, previe ulteriori valutazioni di legge. Tuttavia, è ragionevolmente presagibile che già al momento dell’indicazione del sito, quand’anche questa dovesse avvenire in seguito ad accordo a livello regionale, possano verificarsi opposizioni, purtroppo anche violente, a cui i politici, e la politica non potranno rimanere insensibili. È da temersi che, in tale situazione, in analogia a quanto già verificatosi a suo tempo con la proposta del sito di Scansano Jonico, si debba prendere in considerazione la riscrittura dell’intera disciplina localizzativa e autorizzativa. La cristallizzazione di questa situazione potrebbe essere evitata solo da un successo delle campagne di informazione sulla natura dell’opera e sui benefici previsti per le comunità ospitanti, che Sogin dovrà obbligatoriamente implementare così come stabilito allo stesso articolo 27. A tal fine, si propone che dette campagne vengano supportate da Enti scientifici e Associazioni professionali di natura terza, a garanzia di rigore tecnico, di etica professionale e di assenza di conflitti di interesse.

Scenario B

Qualora il decreto venisse abolito e riscritto, esso potrebbe contemplare diverse attribuzioni alle strutture istituzionali quali Sogin e Isin, rispettivamente controllore e gestore dell’opera, con radicali modifiche dell’assetto tecnico-istituzionale in materia nucleare. Si suggerisce, nel caso si decidesse di modificare il solo articolo 27, la presa in esame, in analogia con esperienze estere di maggior successo, di una separata pubblicazione di Progetto e Cnapi o dei loro equivalenti in quanto:

1- il progetto con i suoi requisiti di sicurezza sarebbe più facilmente assimilabile dai cittadini che ne volessero approfondire gli aspetti, sapendo che si tratta di strutture già altrove messe in opera, e adattabili alla successiva localizzazione;

2- i criteri di successiva esclusione, meglio se proposti in sequenza per essere discussi singolarmente ed esaustivamente, potrebbero dare più confidenza di effettiva tenuta in conto a livello psicologico e di imparzialità.

Si teme però che ogni considerazione di tipo tecnico, pur validata scientificamente, possa essere declassata ad “opinione” da parte della Politica, e quindi da essa gestita a fini che vanno al di là della necessità dell’opera.

Scenario C

Il mantenimento dell’attuale situazione appare il più probabile, almeno nei tempi brevi, ed è facilmente gestibile se lo si giustifica con necessità di approfondimento della materia da parte di Commissioni da costituirsi all’uopo. L’economia, l’ambiente e la salute non subirebbero apparentemente alcun tipo di impatto, e le parti politiche non correrebbero rischi di “scivoloni” elettorali. I costi della soluzione (perché anche questa è pur sempre una soluzione) aumenterebbero più che linearmente, continuerebbero ad essere sopportati dal sovrapprezzo della bolletta elettrica e da tassazioni “ad hoc”, con estremo ricorso a imposte di natura patrimoniale, giustificate dalla salvaguardia del benessere collettivo e dagli aumentati costi energetici. è tuttavia auspicabile che, a beneficio delle generazioni future, su questa tematica venga messo in atto un continuo sistema informativo, e soprattutto formativo, rivolto a cittadini e istituzioni governative, onde evitare sue eccessive e pericolose sottovalutazioni. Ciò renderebbe fattibile l’indizione di un democratico referendum, consultivo e non decisionale, volto ad accertare se l’elettorato preferisce:

1- una scelta del sito basata su oggettivi criteri responsabilmente accettati da tutti fin dall’inizio, con impegno formale a non ostacolare politicamente il procedimento;

2- il trasferimento all’estero dei rifiuti, con trasgressione di regole sovranazionali, e conseguente costo delle sanzioni superiore a quello di ogni altra opzione;

3- il mantenimento dello status quo, con disponibilità a sostenerne i sempre maggiori oneri ambientali ed economici.

Le risultanze, per le quali al momento attuale qualunque pronostico sarebbe aleatorio, dovrebbero essere democraticamente accettate, e l’indagine fornirebbe elementi di notevole utilità per le strategie governative.

Conclusioni

Non appare semplice la realizzazione di un’opera utile al Paese, pur se già prevista per legge. Riconoscendo l’estremo pessimismo di quanto esposto, si imputa alla ricerca del consenso elettorale la responsabilità di passati e futuri intoppi procedurali. Non si dimentica tuttavia che il consenso elettorale è alla base di ogni democrazia, quand’anche fosse contrasto con il bene della collettività; la cultura anti-nucleare che nella fattispecie lo alimenta sembra essere patrimonio non dichiarato di tutte le tradizionali parti politiche, al di là di richiami a compartecipazioni e ad auspici di decisioni condivise, per le quali la diffusione di una cultura tecnica in materia sarebbe assolutamente necessaria. Ma nessuno la può imporre. Una nota di ottimismo può essere apportata dalla sempre attuale e continua ricerca in campo medico: il giorno in cui i tumori dovuti a contaminazione radioattiva saranno curabili alla stregua di un comune raffreddore, chi potrà opporsi ad un’opera che creerebbe solo benefici? Anche se ci sarà sempre chi non vorrà prendere il raffreddore, a nessun costo.

(*) Socio Astri e coordinatore gruppo di lavoro nucleare Cni (Consiglio nazionale ingegneri)

Aggiornato il 26 gennaio 2021 alle ore 10:06