Generazione lockdown

Leggo continuamente che la Dad (Didattica a distanza) per gli studenti non comporta niente di problematico, dunque non bisogna fare tante manfrine. In fin dei conti, è un evento critico che può esser tranquillamente superato. Non so come mai ma questa dichiarazione di intenti mi crei una sorta di torsione alquanto innaturale, per cui nutro seri dubbi che possa esser davvero così. Operando in una comunità, mi rendo conto che privare un adolescente della relazione sociale, dell’incontrare un’emozione che scaturisce da un racconto di un proprio compagno e soprattutto del docente che insegna con il cuore, e non soltanto attraverso la mera trasmissione di nozioni, si corra il rischio-impatto con un pericolo fondato, quello di una solitudinarizzazione forzata, o quanto meno indotta dal nuovo sistema didattico.

Stavo pensando, ma forse mi sbaglio, a quelle scene viste in televisione, in più città, in più regioni, in più occasioni, che hanno coinvolto come protagonisti negativi ragazzi e ragazze i quali, in assenza di altre passioni, hanno sentito il bisogno di sfidarsi nelle strade e nelle piazze, a suon di calci e pugni, Ritengo per provare il brivido dello scontro fisico, e così sopperire allo stress e all’ansia dell’angolo imposto. Piazzate rumorose come queste non possono essere liquidate come ma sì sono le solite ragazzate, oppure come semplici e chiari atti criminali. Peggio, sistemarle alla bell’e meglio sotto l’ombrello del solito bullismo dilagante. Come a dire che non se ne può più di app come Houseparty o Google Meet per restare in contatto e quindi sentirsi vivi. Chiaramente, il raffronto è altrettanto forzato ma dovrebbe indurre una riflessione per comprendere che qui non si tratta più di lamentazioni come ha detto qualcuno, ma di manifestazioni più o meno urticanti e fastidiose, che mi azzardo a definire figlie di un disagio galoppante.

D’altro canto, se disagio c’è ne consegue il rischio di una manifestazione contestataria, alla quale non è accettabile rispondere con una etichetta o slogan per rendere tale circostanza una istanza prettamente vittimistica, che sale alta da parte degli studenti. Ci sono giovani che sono veramente spaventati dal futuro che rimane perennemente obliquo, ci trasmettono segnali inequivocabili di malessere non solo psicologico, ma anche fisico. Credo sia il caso di svolgere una piccola indagine su quanti studenti, anche del quinto anno, sono colti da attacchi di panico davanti al pc, che magari vorrebbero lasciare la scuola, o che addirittura sono entrati in terapia. Ascoltare alunni e alunne affermare che è un piacere studiare, ma questa percezione di non riuscire a tornare a relazionarsi a scuola come prima, sta rovinando drasticamente il loro bel ricordo scolastico, fa veramente male. In tutta sincerità, questa situazione di sofferenza da parte dei ragazzi credo abbia una causalità di spessore con quanto stanno sopportando, perché costretti. Non mi pare un buon viatico l’atteggiamento del mondo adulto, che sembra licenziare queste alzate di mano, queste richieste di aiuto, con una scrollata di spalle.

Aggiornato il 20 gennaio 2021 alle ore 12:53