Però non ditelo a “genitore” Dante

Un’altra strepitosa vittoria linguistica della onorevole – onorevola forse – Laura Boldrini, ci appare dalle pagine di “Repubblica”, nelle quali viene data notizia all’Orbe che l’ordine degli architetti di Cagliari, dopo la richiesta di una delle sue iscritte, abbia riconosciuto la dicitura del titolo al femminile e ha dato quindi il benestare al nuovo sigillo professionale che d’ora innanzi reciterà “architetta”. La Sardegna, quindi, va orgogliosamente a unirsi gli altri ordini professionali di Roma, Torino, Milano, Modena, Treviso e di Bergamo, dimostrando così di essere perfettamente all’avanguardia anche nelle più importanti battaglie sociali. Benissimo, ne prendiamo atto e vorrà dire che rivendicheremo orgogliosamente le analoghe definizioni per il genere maschile di “artisto”, “geometro”, “paesaggisto”, “urbanisto”, “dentisto”, “poeto” e altro, perché noi “maschi alpha” ai nostri attributi – anche professionali – e attribuzioni, ci teniamo particolarmente e vogliamo quindi sia rispettata, in maniera sacrosanta e degna del nuovo millennio, la parità di genere.

Tutto questo mentre sui documenti dei minorenni ricompare la mai defunta idea del “Genitore 1” e del “Genitore 2”, che, del resto se in conformità al medesimo principio che ha sancito l’Ordine degli architetti e delle architette (perché adesso così dovranno scrivere) dovrebbe essere Genitore e Genitrice, oppure vogliamo fare Genitoro e Genitora? E se uno dei due fosse ignoto? Farebbero forse Genitore X? Genitore 0? Però Genitore X è fico, fa mutante della Scuola di Charles Xavier per giovani dotati. Il padre di Wolverine sarebbe dunque Genitore X, mi pare saggio. Fare si può fare, tanto ormai si può fare tutto, tranne che avere la libertà personale di essere padroni della propria vita, in questo Paese dove (un tempo) “il sì suona”.

Quindi al posto di “Madrepatria”, che non è una parola nostalgica o reazionaria ve lo assicuro, visto che esiste anche su tutti i dizionari come appartenente al lessico italiano, diventerà per caso “Genitoreunoegenitoredue”? E come la metteremo con le ragionevolissime esigenze dei gruppi Lgbt (aggiungereunaletteraapiacimento)? E se l’architetto fosse un/una transgender? Facciamo Architett*? Un po’ come parlava Cattivik di Silver, per chi se lo ricorda come fumetto comico e dunque ha la mia età ed era tanto semplice da divertirsi con così poco.

E se fosse ancora più fluido nella propria desinenza di genere? Facciamo Architett#? Non bastavano l’inaudibile “assessora” o “ministra”, il fastidioso “sindaca”, mentre, anche se poco eufonico, è corretto (ma io non lo uso) il termine “avvocata” che personalmente gradisco più di “avvocatessa”; tanto che lo si ritrova persino nelle litanie mariane e nelle preghiere alla Beata Vergine Maria? “Advocata nostra”…su dai, qualcuno le ricorderà pure le preghiere in latino insegnategli un tempo dai nonni…è il Salve Regina, fatelo uno sforzo culturale ogni tanto!

Personalmente basta che vi mettiate d’accordo e ce lo facciate sapere, anche se i dinosauri linguistici come il sottoscritto – io almeno continuerà a farlo – pervicacemente si ostineranno a chiamare Architetto, con la “O” in finale di parola, anche chi ha le tette, e sia questo detto senza ombra alcuna di sessismo, anzi con il massimo rispetto per le donne che svolgono tale attività a lungo ad esse preclusa; perché ritiene che la capacità, la competenza, non sia data dalla desinenza di genere ma da ciò che si dimostra sul campo e forse ancor più di quanto affermi qualsiasi titolo di studio. Queste sono ovviamente le priorità che occupano le menti dei nostri legislatori, dei nostri amministratori della cosa pubblica, i quali invece di potenziare la sanità, di incrementare il lavoro, di favorire lo sviluppo e la crescita, soprattutto in questo frangente, operano l’esatto contrario, continuando a premiare le superflue banalità di una pseudo civiltà sul viale del tramonto.

Aggiornato il 15 gennaio 2021 alle ore 09:25