Durante Dante non è bastante

venerdì 8 gennaio 2021


Tutto come previsto. Era facile del resto, anche senza necessariamente essere veggenti e sensitivi, era molto facile sapere che con l’entrata del nuovo anno i fatidici sette secoli dalla morte di Dante avrebbero scatenato le penne e le tastiere di una miriade di improvvisati dantisti, che avrebbero a loro volta dato il via a un rutilante circo paraletterario sul “ghibellin fuggiasco”. Ovviamente questo avviene da qualsiasi parte politica e intellettualoide, sia ben inteso, laddove ognuno tirerà il sommo fiorentino per quella lunga palandrana rossa con la quale da secoli lo effigiano. Divertente il tutto, perché ben sappiamo quanti tra coloro che oggi si dilungano con dovizia di verbosità nell’incensare “padre” Dante, a loro tempo non soltanto lo abbiano stramaledetto sui banchi del liceo – ammesso li abbiano mai riscaldati con le loro terga – ma di certo ne avranno letto il minimo indispensabile, magari sui consunti Bignami, giusto per cercare di sapere cosa rispondere ad un’interrogazione. Oggi però tutti dantisti! Tutti a dissertare sul valore politico, sociale, mistagogico, del povero Alighieri del quale – lo ricordo per i meno attenti – sappiamo ben poco e troppo spesso lo si cita con noncurante distrazione, sbagliandone le terzine, a cominciare da quel “non ti curar” che né lui né Virgilio, hanno mai detto in tal guisa.

Ma lo so, Dante, quel gran farabutto, linguacciuto, pestifero, maledetto toscano, feditore a cavallo, forse Fedele d’Amore e quant’altro, è come altri nostri grandissimi e unici “maggiori”, utile alla bisogna, un uomo per tutte le stagioni insomma, se lasciato in mano ai soliti opportunisti della cultura. Dante sbandierato ovunque, spalmato, diffuso, esteso, non diversamente da come hanno fatto e continuano a fare con Caravaggio o con Leonardo da Vinci. Dante, con quel suo buffo cappello da Grande Puffo – Dante massone l’hanno già detto? Ma sì dai – intorno al quale qualche bischero un giorno ha messo una corona d’alloro come cercine, dimenticando che quello lì era invece Francesco Petrarca. Eh sì, e mi costa parecchio dirlo, dacché il sottoscritto, Dante l’ha sempre amato, letto, conosciuto e studiato, anche con piacere e facilità al liceo, sotto un eccellente insegnante ma prima ancora grazie a mio padre. Però lo devo ricordare, il “padre Dante” non lasciò così imperitura traccia nella letteratura italiana, quanto dell’antipatico, cattedratico del Petrarca, che ci ha sfinito di lamentele perché Laura non gliel’ha mai data. Non furono gli scritti di Dante ad essere imitati nei secoli, ma il Canzoniere di quello sfigato di Petrarca, di lui e del suo rametto d’alloro in testa, e di questo ce ne faremo una ragione. Per tacere poi del povero ser Giovanni Boccaccio da Certaldo, passato alla storia per le sue novelle scollacciate quando era molto di più di un pornografo da film anni Settanta, tra un Calandrino e un Buffalmacco alla ricerca dell’Elitropia.

Ma noi oggi, tutti insieme appassionatamente, siamo qua per omaggiare Dante, dal momento che Raffaello Sanzio è rimasto dissolto nelle grinfie della pandemia – con mio personale piacere visto che non l’ho mai avuto in simpatia – adesso sarà un florilegio di libri, articoli, convegni on-line, e quanto più riusciranno a fare, imperniati su questo malmostoso dal naso adunco e dall’insulto facile. Poi qualcuno, dopo aver ritrovato le ossa, uno scontrino della Conad di Montaperti, un’intervista a una fidanzata di Dante prima che conoscesse Beatrice, dunque all’asilo di Rifredi, ci esaurirà le meningi ed altro, per dimostrarci che il Sommo era di questo o di quell’altra fazione politica, travestito da templare a giorni alterni e di ritorno da viaggi perigliosi tra fumarole e vulcani attivi. Dante sarà sessista e misogino, libertario e mangiapreti, a seconda di come farà comodo definirlo, sfuggente e mercurialmente imprendibile come tutti i veri grandi, tutti quei giganti sulle cui spalle noi siamo soltanto nani, giusto per citare l’Orso Forte, che non è Yoghi, sappiatelo.

E va bene così allora, sopporteremo, anzi sopporterò non questo anno di mai abbastanza giusti tributi a un uomo di tale grandezza, ma questi dodici mesi di sicuri deliri, di banalità raccolte da “strano ma vero”, da inchiesta su Focus o su altri programmi giacobbiani, con tetragona alterigia, ripensando sempre a quel Farinata degli Uberti che, nudo dalla cintola in su, sprezzante, insulta tutti gli altri peggiori, molto peggiori di lui, che ha l’inferno in gran dispitto, mentre a me resta soltanto un mondo di mediocri da dileggiare.


di Dalmazio Frau