Covid, la sofferenza del Policlinico Gemelli: parla il professor Marco Elefanti

Il Policlinico Agostino Gemelli è una delle strutture romane che si è resa disponibile al ricovero di pazienti Covid. Attualmente ha in carico 129 degenti con il virus ed apre i reparti a seconda delle esigenze del territorio. A fare da sponda anche il Columbus, che ha aperto per il Covid lo scorso marzo con 80 posti letto e 59 posti in terapia intensiva, ma ne stanno aggiungendo altri in un’area isolata, perché già da tempo al limite. Il Policlinico Gemelli da qualche mese naviga in acque burrascose, risente economicamente della situazione e per questo è in attesa di aiuti regionali. Ne parliamo con il direttore generale, il professor Marco Elefanti, che chiarisce l’origine di questo disagio.

Le difficoltà del Policlinico Gemelli riguardano la seconda ondata del virus?

Dal punto di vista della gestione dell’epidemia e delle sue implicazioni clinico-assistenziali a livello ospedaliero, diciamo che pensiamo di essere abbastanza organizzati, anche facendo tesoro dell’esperienza che abbiamo maturato nella prima parte di questa terribile vicenda. Abbiamo accumulato esperienza e conoscenza, anche dal punto di vista dell’organizzazione dell’incarico del trattamento di questi pazienti nonché delle scelte clinico-terapeutiche. La cosa che differenzia pesantemente questa fase da quella precedente sono le innumerevoli positività che entrano nell’ospedale dall’esterno o i contatti che hanno gli operatori e i pazienti prima del ricovero, anche i non Covid che entrano negativi e si positivizzano. Figuriamoci quanto sia complesso in un ospedale dove dobbiamo tamponare tutti, altrimenti mettere in isolamento a domicilio i positivi, chiudere reparti.

La situazione che si è venuta a creare ha messo però in forte pericolo il vostro bilancio.

È una situazione particolare, tipica della gestione di queste strutture in questi momenti, questo tipo di complicazioni nella logistica in un ospedale sono veramente pesanti. Detto questo, per quanto riguarda gli aspetti di gestione economica è chiaro che per quello che è il quadro normativo attuale, ma mi risulta siano prossime delle modifiche, abbiamo evidenza che ci verrà riconosciuta una funzione Covid dalla Regione che coprirà per ciascun posto letto messo a disposizione la capacità che abbiamo sacrificato di quei letti al trattamento di pazienti non Covid. Però, avendo noi un calo di produzione molto importante, che nel primo periodo e tendenzialmente ancora in questa fase si sta manifestando, subiamo l’allontanamento dei pazienti diciamo elettivi dall’ospedale. Questo grosso calo di produzione rischia di non essere assolutamente compensato da questa funzione e ciò può produrre una falla nei nostri conti non di poco conto. Su questo tema, però, mi risulta che il legislatore si stia attivando per porre un rimedio.

Il Gemelli è un biglietto da visita per tutto il Paese, il Governo non potrà fare altro che occuparsene. Ma la Regione Lazio chiede che si garantisca la continuità sanitaria e l’erogazione dei servizi. Quindi la Regione Lazio ricompenserà economicamente per questa attività.

Si è già attivata e paga per definizione i pazienti che sono passati da noi. Per i pazienti che non ci sono, ovviamente, non si può pagare. Paga a parte la funzione Covid, poiché ci siamo resi disponibili per i posti letto, però questo può non essere per effetto di un calo così importante della produzione, in una realtà così complessa come la nostra potrebbe non essere sufficiente. Da lì un intervento sta arrivando o dovrebbe arrivare per quello che si dice, dal Governo.

Fa effetto sentir parlare di difficoltà economiche quando queste parole sono abbinate al Gemelli. Si pensi al fatto che questa è la struttura ospedaliera più vicina al Vaticano. In questo senso, lo Stato Vaticano non aiuta?

No, sarebbe davvero un po’ poco realistico pensare che sui nostri numeri il sostegno potesse arrivare anche da lì, perché si tratta di numeri molto pesanti. Pensare che ad eventuali carenze di risorse potesse ovviare la Santa Sede è un po’ fuori dalla realtà. La Santa Sede ha altro cui pensare, si occupa di carità ed interventi per quelle fasce che hanno maggiori esigenze e non si può occupare di una situazione come la nostra che deve sopravvivere coi propri mezzi, con le risorse a cui riesce ad attingere e col proprio rigore anche gestionale. È chiaro che una struttura come questa solo col rigore gestionale, oltre che con qualità assistenziale, può raggiungere i fini per cui è stata costituita ed ha sempre operato.

Queste difficoltà da cosa derivano effettivamente, solo dalla mancanza dei pazienti?

Abbiamo un budget della produzione annuale che supera i 350 milioni, se per tre mesi non vengono pazienti noi abbiamo un calo settimanale di sei milioni. Se mancano per tre mesi i pazienti o si riducono del 30 per cento crolla la nostra produzione e noi non siamo pagati senza la produzione che realizziamo, non siamo gestionali pubblici che, qualora dovessimo perdere, il sistema pubblico copre le perdite. Noi siamo una struttura privata e dobbiamo sopravvivere con i mezzi cui si riesce ad avere accesso. E i mezzi cui possiamo avere accesso non comprendono il riconoscimento di attività che non si è potuta svolgere. Una soluzione sarebbe ridurre i costi, ma non possiamo pensare di mettere in cassa integrazione i medici o gli infermieri, perché si riduce la domanda. Evidentemente, questo crea uno scollamento fra andamento dei ricavi e dinamica dei costi.

@vanessaseffer

Aggiornato il 23 novembre 2020 alle ore 18:32