Le mire editoriali di Walter Veltroni

Nel mondo dell’editoria è stata notata la super-presenza negli ultimi mesi di Walter Veltroni sui giornali, settimanali e case editrici, soprattutto su “Il Corriere della Sera” e su “La Gazzetta dello sport” (lui tifoso juventino). Sta invadendo il mercato della comunicazione con interviste a politici (spesso suoi ex amici di partito), cantanti, attori, protagonisti di fatti e vicende del lockdown. Cosa sta succedendo in via Solferino? In questa maniera il figlio del giornalista Eiar e poi Rai, Vittorio. e della slovena Ivanka Kotnik sta superando la brillante carriera di uno dei protagonisti del giornalismo radiotelevisivo. Da “Quando c’era Berlinguer” e “Odiare l’odio”, Veltroni è passato alla professione di giallista con “Assassinio a Villa Borghese” e “Buonvino e il caso del bambino scomparso”. La copertina del settimanale “Sette” de “Il Corriere della Sera” in edicola è dedicata all’intervista di Veltroni a Woody Allen con tre slogan, ovvero “la realtà è brutale, triste, meglio la vita nei film”; “se Dio esiste, dovrà risponderne a un giudice”; “in tv guardo i tg, le serie non mi interessano”. E come se non bastasse, giovedì 29 l’intera pagina della cultura del Corriere è dedicata, con un articolo di Fabrizio Roncone, al secondo giallo scritto da Veltroni.

Nel mondo editoriale e politico sono stati avanzati molti interrogativi. Pochi mettono in discussione la bravura del sessantacinquenne politico romano. È stato sindaco della Capitale per due mandati: eletto per la prima volta nel giugno del 2001, è stato confermato nel 2006 dimettendosi dalla carica nel febbraio 2008 per candidarsi alle elezioni politiche dell’aprile. Da sindaco, secondo molti osservatori, lasciò irrisolte molte questioni, tanto che per ribattere le critiche dedicò all’esperienza di sindaco il libro con l’aiuto di Claudio Novelli “Roma, storie per ritrovare la mia città”.

Per giudicare Veltroni politico occorre riandare al 2007, l’anno in cui nasce il Partito Democratico di cui diventa segretario il 15 ottobre per lasciare l’incarico nel febbraio 2009 a causa delle sconfitte elettorali (elezioni politiche e regionali). Con il discorso al Lingotto di Torino, lanciò l’idea della “vocazione maggioritaria”, perfezionata nel libro “La nuova stagione”. C’è poi il periodo della vicepresidenza di palazzo Chigi e di ministro dei Beni culturali, con Romano Prodi. Aveva iniziato l’attività politica nella Fgci (Federazione giovanile comunista italiana) dopo essere stato bocciato in quarta ginnasio al liceo Tasso e ha preso il diploma all’Istituto cine-tv Roberto Rossellini. E questa sua passione per il cinema venne sviluppata quando da direttore de “l’Unità” (caso raro allora per un pubblicista) dette vita alla pubblicazione, in allegato al giornale, di libri e videocassette di film. All’inizio degli anni Novanta e sotto la sua direzione il giornale fondato da Antonio Gramsci raggiunse circa 150mila copie al giorno. Lasciò il quotidiano perché chiamato da Romano Prodi a dar vita alla coalizione de “L’Ulivo” che permise la vittoria del centrosinistra su quella guidata da Silvio Berlusconi. Pur non essendo credente, da sindaco della Capitale si impegnò per far avere dal Campidoglio la cittadinanza onoraria a Papa Giovanni Paolo II. E alla sua giunta si deve l’approvazione del Piano regolatore che Roma attendeva da 40 anni. Ma quando sindaco divenne Gianni Alemanno, il centrodestra rese nota l’esistenza di un grave indebitamento del Comune, che ammontava a poco più di 8 miliardi, buco retrocesso dall’agenzia Standard & Poor’s a meno di 7 miliardi. Al referendum sul taglio dei parlamentari ha votato no.

Aggiornato il 31 ottobre 2020 alle ore 10:42