Covidmania, panico pandemico

lunedì 12 ottobre 2020


Potere del virus e virus del potere. Come stanno gli italiani? Meglio, molto meglio dei loro vicini di casa latini, francesi e spagnoli in particolare. Certo, se avessimo dato meno giri di manovella agostani alla giostra del divertimento, lasciando congestionare di folla discoteche, spiagge e locali pubblici, forse sarebbe andata alla grande. In particolare, in tutti questi mesi di decantazione, a partire dall’apice della prima grande gobba dell’infezione fino alla sua discesa verso lo zero, è del tutto mancata gravemente una strategia a medio termine per la ricostruzione della sanità territoriale e di prossimità, dotandola di risorse più che sufficienti, magari attingendo tempestivamente al Fondo Salva Stati, o Mes, per fare essenzialmente due cose.

In primis, riorganizzare il tessuto territoriale dei presidi di immediata prossimità, predisponendo con assoluta urgenza e priorità i centri di raccolta delle informazioni Covid, con la costituzione temporanea, o a regime, di un’adeguata rete di presidi (fissi e mobili) per la rilevazione dei positivi asintomatici e pauci sintomatici. Inoltre, si è persa una preziosa occasione per fare provvista, in questi sei mesi di tregua da Covid, di quantità sufficienti di reagenti per lo screening di massa. Con i 37 miliardi del Mes di risorse fresche si sarebbe potuto dare assoluta priorità alla realizzazione di un tessuto espanso di parecchie centinaia di presidi mobili su caravan dotati di strumentazioni ordinarie, riconvertibili rapidamente in regime post-Covid in altrettanti osservatori per il monitoraggio decentrato delle patologie più frequenti e diffuse, come dismetabolismi di una certa gravità, ipertensioni e disturbi cardiaci.

La mobilità (strutturata con automezzi dotati di parti modulabili esterne, quali tende, capannoni leggeri) è un elemento vitale per raggiungere sia l’intera popolazione studentesca, personale docente e non docente compreso; sia molte centinaia di migliaia di persone fragili in territori decentrati o di problematica accessibilità che, a causa dei tagli strutturali alla sanità pubblica, sono stati deprivati delle piccole strutture ospedaliere e ambulatoriali di prima prossimità. Per la conduzione di tali numerosi presidi mobili si potrebbe fare ricorso a forme pregnanti di Servizio civile, reclutando con contratti a termine studenti degli ultimi anni di Medicina, Biologia e Farmacia il cui servizio a favore della collettività sia computato a tutti gli effetti, ai fini pensionistici, come periodo di lavoro nel servizio pubblico e valutato pari al doppio della durata dell’effettiva occupazione.

In secondo luogo, parte della dotazione Mes va finalizzata agli investimenti produttivi nella sanità, orientati essenzialmente sui seguenti due assi: da un lato, il potenziamento di tutte le strutture ambulatoriali territoriali, con adeguato ampliamento di organici e dotazioni strumentali di base e avanzate per la diagnostica d’urgenza. Dall’altro, l’ampliamento fisico delle facoltà di Medicina con la costruzione di nuovi edifici e laboratori e con la rapida assunzione di medici ospedalieri e professori, al fine di potenziare i Policlinici universitari. I medici specialisti ambulatoriali attualmente in servizio, con monte-ore sottodimensionato, vanno portati al tempo pieno nell’immediato, in modo da generare forti risparmi sistemici nella sanità, evitando le lunghe attese per poter disporre tra qualche anno di un maggiore numero di medici specializzati.

L’ultimo aspetto da sottolineare è rappresentato dall’assoluta necessità di disinnescare, in via prioritaria, il panico pandemico che si sta diffondendo nella popolazione italiana, e non solo a causa del Covid. La fase che stiamo vivendo, infatti, non ha nulla a che vedere con i primi mesi di scatenamento della pandemia, quando la popolazione mondiale, e non solo occidentale, è stata esposta drammaticamente, per la prima volta, a un temibile agente infettivo di cui nessuno allora conosceva le modalità di diffusione e tanto meno di cura. Tutti i dati attuali stanno a dimostrare una cosa molto semplice: l’Europa, l’America e l’Asia sembrano oggi in grado di contenere attraverso le più elementari misure e presidi individuali di prevenzione e protezione (mascherine, distanziamento, lavaggio frequente delle mani) gli effetti più letali del Covid. Ma, per quanto se ne sappia ancora veramente poco, altre considerazioni inducono a pensare che il virus stia trovando un modus convivendi con quell’inestimabile tesoro biologico di auto-conservazione rappresentato da 7 miliardi e passa di esseri umani.

Al contrario, delle precedenti pandemie (Spagnola, in particolare) il Covid-19 è dotato di un potente vettore di diffusione, gli asintomatici positivi, che difficilmente potrà portare alla sua estinzione, anche in caso di conseguita immunità di gregge. Basterà un 10-20 per cento di non immunizzati con bassa concentrazione virale per tenerlo perennemente tra di noi senza grandi drammi o emergenze.

Un’ultima notazione. Le autorità sanitarie italiane, oltre a stare continuamente nel pallone e nel rifiutarsi di provvedere per tempo a disinnescare con robuste misure di prevenzione di massa (esempio: l’acquisto tempestivo di un grande numero di tamponi e reagenti) la diffusione endemica del Covid-19, si sono comportate come le tre scimmiette, scommettendo che il peggio fosse definitivamente passato dopo l’esaurimento della fase-1. L’opinione pubblica italiana continua poi a essere costantemente disinformata: le statistiche nazionali sono aggregate in modo decisamente inaccettabile, in quanto nella comunicazione pubblica e televisiva i positivi, contagiati o ammalati, non vengono distinti per fasce di età e sesso, in funzione della gravità degli eventuali ricoveri e del numero associato di comorbilità. Né tantomeno si specificano i trend relativi e non si chiariscono le ragioni della scelta dei parametri utilizzati nei modelli matematici considerati.

Ma, vista la bassissima attuale letalità e lo scarsissimo affollamento delle terapie intensive, si può ancora considerare il Covid-19 molto più pericoloso di un’influenza ordinaria?


di Maurizio Guaitoli