Mascalzone

Ho riletto le parole del (fu) giudice Amedeo Franco, componente del Collegio che esaminò il ricorso per Cassazione di Silvio Berlusconi, e, come sempre accade, ho visto una cosa, che – prima – avevo sottovalutato, e che, se possibile, aggrava ulteriormente una situazione di per sé tragica.

Mascalzone è la parola chiave.

Il giudice Franco, riferendosi ad opinioni altrui, disse che era necessario condannare “a priori” Berlusconi in quanto “mascalzone”.

Ti condanno per quello che sei (e tu sei quello che io penso tu sia) e, siccome sei mascalzone, non puoi che essere condannato. Non fa una piega. Fa venire i brividi, ma questo è un altro discorso.

Visto che parliamo di mascalzoni, dico subito che non mi interessa più sapere se il giudice Franco fu folgorato sulla via di Damasco o convinto dalle blandizie di Cesano Boscone: la chiave di tutto è in quel mascalzone, che esprime una qualità dell’animo e non una condotta esecrabile.

Contro le categorie dello spirito, ogni battaglia è persa, prima ancora di essere combattuta. Non a caso (Freud ci farebbe tre volumi, se solo potesse leggere l’intera proposizione), quella condanna era inevitabile “a priori”.

Alfine, Deo gratias, ho capito quello che non avevo compreso. L’immagine che affiora non è quella di un plotone di esecuzione, ma è il ritratto di Guglielmo di Nogaret, giurista sopraffino, ideatore della distruzione dell’Ordine Templare, ispiratore di Filippo il Bello, mente diabolica al quale arrise fortuna sol perché colui che occupava il soglio di Pietro era un inetto, complice dei responsabili di una tragedia che molti, ancora oggi, non hanno compreso.

Aggiornato il 09 luglio 2020 alle ore 11:05