Silvia Romano scelta a testimonial dell’Islam italiano

Chissà se i genitori hanno dato il consenso o è semplicemente sfuggita loro di mano dopo una opportuna quarantena di silenzio inopinatamente interrotta.

Fatto sta che da ieri Silvia Romano – la volontaria rapita e tenuta in ostaggio per più di due anni dai terroristi di Al Shabaab tra Kenya e Somalia e liberata dopo faticose trattative dei servizi militari italiani, francesi e turchi con i terroristi e dopo il pagamento di una somma ingente da parte del contribuente italiano e amorevolmente divisa tra terroristi e servizi stranieri – proprio non ce l’ha fatta a non esternare “urbi et orbi” la propria gioia di neo convertita con il sito on-line laluce.news che fa capo a una serie di convertiti italiani già militanti nell’Ucoii e da questa organizzazione staccatisi per creare il primo embrione politico dell’islam italiano. Ovviamente anch’esso riferibile alla pseudo-ideologia dei Fratelli Mussulmani.

L’intervista piena di sfondoni andrebbe commentata più sub speciem della ex sindrome di Stoccolma – o nella fattispecie di Mogadiscio – che sotto quella culturale. A Silvia – o Aisha, come si fa chiamare adesso in onore della ultima moglie di Maometto, che nella leggenda fu sposata a sei anni e posseduta a nove da un uomo all’epoca sulla quarantina – neppure le passa per la mente che il rapimento da lei subito sia semplicemente un crimine da punire e non un segnale di Dio, anzi di Allah, perché lei trovasse la retta via convertendosi all’Islam. Né che i suoi rapitori siano in realtà una banda armata di assassini e tagliagole già noti per rapimenti di massa di intere scolaresche in Kenya. Né che alcune di queste ragazze rapite abbiano avuto una sorte meno fortunata di quella di Silvia-Aisha.

Emblematica questa sua risposta a una delle tante domande banali dell’intervista che appare concordata a tavolino per fare di Silvia una testimonial del futuro partito dell’Islam italiano: “Nel momento in cui fui rapita, iniziando la camminata, iniziai a pensare: io sono venuta a fare volontariato, stavo facendo del bene, perché è successo questo a me? Qual è la mia colpa? È un caso che sia stata presa io e non un’altra ragazza? È un caso o qualcuno lo ha deciso? Queste prime domande credo mi abbiano già avvicinato a Dio, inconsciamente. Ho iniziato da lì un percorso di ricerca interiore fatto di domande esistenziali. Mentre camminavo, più mi chiedevo se fosse il caso o il mio destino, più soffrivo perché non avevo la risposta, ma avevo il bisogno di trovarla”.

Più avanti ecco come descrive la avvenuta conversione preceduta a quanto sembra da una sorta di crisi mistica: “Capivo che c’era qualcosa di potente ma non l’avevo ancora individuato, però capivo che si trattava di un disegno, qualcuno lassù lo aveva deciso. Il passaggio successivo è avvenuto dopo quella lunga marcia, quando già ero nella mia prigione; lì ho iniziato a pensare: forse Dio mi ha punito. Forse Dio mi stava punendo per i miei peccati, perché non credevo in Lui, perché ero anni luce lontana da Lui”.

Non poteva mancare un inno al velo – meglio al burqa, visto come va in giro conciata oggi in Italia Aisha-Silvia – come strumento di vera libertà per l’oppressione femminile da parte di una società edonista, consumista e capitalista come la nostra. Mentre nei Paesi islamici – sunniti o sciiti, dove le donne sono trattate da schiave sessuali o da semplici suppellettili quando il sesso ai loro uomini non interessa più – secondo il nuovo credo di Silvia Romano, lì si che sarebbe il paradiso in terra di tutte le femministe.

Lasciamo perdere i soldi pagati per salvarle la vita e riportarla in questa terra di miscredenti e contribuenti italiani, ma almeno la propaganda Silvia-Aisha ce la potrebbe risparmiare. Perché di questi tempi, in cui tanto si parla di Tso per chi non si cura il Covid-19, hai visto mai che qualcuno potesse fare un pensierino anche a lei. A meno che la famiglia non la riprenda sotto il proprio stretto controllo. Cosa che sarebbe a questo punto buona e giusta. Amen.

Aggiornato il 07 luglio 2020 alle ore 16:31