Il carcere per i giornalisti alla Corte Costituzionale

La Corte Costituzionale ha fissato per il 9 giugno l’udienza sulla legittimità del carcere per i giornalisti. Il giudizio nasce da un’iniziativa del sindacato della Campania il cui avvocato aveva sollevato un’eccezione di incostituzionalità della norma nel corso di un processo per diffamazione a mezzo stampa dinanzi al Tribunale di Salerno nei confronti del direttore del Roma Antonio Sasso e dell’ex collaboratore Pasquale Napolitano. Il giudice accolse l’eccezione e l’incartamento è finito davanti ai giudici della Suprema Corte. Dopo un primo slittamento chiesto dall’avvocato dell’Ordine dei giornalisti l’udienza è stata riproposta 45 giorni dopo. Quella del carcere per i giornalisti è una battaglia che va avanti da tempo, suffragata dalla valutazione della Corte europea per i diritti dell’uomo secondo la quale “già la sola semplice previsioni astratta della sanzione detentiva esercita un effetto dissuasivo sull’esercizio dell’attività giornalistica e rappresenta una lesione per la libertà di stampa”.

La sanzione del carcere va cancellata. L’intera materia va riconsiderata anche alla luce delle normative europee. Alcuni aspetti del disegno di legge, bloccato in Senato, contengono per i giornalisti e gli editori elementi che rischiano di trasformarsi in un vero e proprio bavaglio, Alcune criticità contenute nella proposta “allontanano, osserva il segretario della Fnsi Andrea Lorusso, ancor più l’Italia dal resto d’Europa”. E il presidente degli editori Andrea Riffeser Monti aggiunge che il disegno di legge va modificato per tutelare “la libera e corretta informazione che è garanzia fondamentale di democrazia”. Non convincono le novità in tema di rettifica e di responsabilità penale del direttore e vicedirettore e le previsioni in materia di Tribunale competente nel caso di pubblicazioni online. Il precedente del giornalista siciliano Rino Giacalone è preoccupante.

È stato condannato dalla Corte di Appello di Palermo per aver definito “pezzo di merda” il mafioso Mariano Agate. Ma come ha ricordato il presidente della Commissione antimafia regionale Claudio fava già Peppino Impastato (di cui ricorreva il 9 maggio l’anniversario dell’uccisione) aveva definito la mafia “una montagna di merda”, espressione entrata nella letteratura e nei modi di dire “anche se poco elegante sotto vari aspetti”. Per liberare i giornalisti dalle minacce quotidiane occorre riscrivere le norme. Chi colpisce un cronista vuole imbavagliare il cittadino. In Calabria la giornalista Enza Dell’Acqua è stata sottoposta a vigilanza per le minacce e gli insulti ricevuti per i suoi articoli.

Record assoluto di processi per diffamazione è quello di Federica Angeli. La corrispondente di repubblica da Ostia è finita in Tribunale 110 volte. Sono ormai decine e decine i cronisti costretti a frequentare le aule giudiziarie per difendersi da querele che quasi sempre hanno lo scopo di intimidire e bloccare un’inchiesta. Il 10 febbraio Paolo Borrometi ha testimoniato nel processo per minacce, aggravate dal metodo e dall’appartenenza mafiosa, ricevute dal boss Salvatore Giuliano e dal figlio Gabriele. Il giornalista siciliano che è anche direttore del sito web La Spia è costretto a vivere sotto scorta dal 2014. Interessante quanto accaduto a Spoleto. L’amministratore delegato della Banca popolare ha denunciato per diffamazione il giornalista Carlo Ceroso. La circostanza, ha osservato il giudice, era vera e quindi il querelante è finito sotto processo per causa temeraria.

 

Aggiornato il 13 maggio 2020 alle ore 11:59