Coronavirus: un appello per le carceri

martedì 7 aprile 2020


Al Presidente della Repubblica
Al Presidente del Consiglio
Ai rappresentanti di governo e opposizione

A seguito della classificazione di “pandemia” raggiunta dal corona virus, nelle carceri cresce la solidarietà tra i detenuti e gli agenti di Polizia Penitenziaria. Un evento storico su cui riflettere, l’elemento comune è il valore della vita, paradossalmente la problematica consente l’opportunità di elevare la concezione della vita stessa in tutte le derive che negli ultimi anni sono state indotte dall’assottigliamento dell’etica. Senza etica professioni e mestieri sono ridotti ad una recita finalizzata a suscitare consensi, si perdono di vista i valori umani e sociali maturati in Italia, in Europa e nel mondo.

Le continue informazioni inerenti alla facile propagazione del virus, che per indice di mortalità è stato classificato pandemico, congiuntamente alle misure preventive da adottare imposte dal governo, ci fanno comprendere che in regime di sovraffollamento non è possibile ottemperare a nessuna di esse. I dati indicano circa 11mila detenuti in più dell'effettiva capienza, a dispetto dei principi di civiltà e umanità che la detenzione in carcere si prefigge di infondere nel percorso rieducativo, così come richiesto dall’ormai troppo menzionato art. 27 della Costituzione.

Disponibilità e “tolleranza” sono identificativi di buon senso, di spirito d’immedesimazione e, in assenza del virus, sono state sempre dimostrate con l’adattamento incondizionato alle fatiscenti condizioni di igiene e abitabilità che vigono nelle strutture penitenziarie. Le carceri fanno parte dello stato italiano, a tal proposito chiediamo una seppur blanda verifica ispettiva dei NAS nelle aree di preparazione dei cibi, smaltimento rifiuti, stanze pernottamento, etc, al fine di verificare se in concreto l'aggiunta della diffusione del virus sia la goccia che possa concorrere ad esasperare una già difficile condizione di vita.

Sul punto ci si potrebbe soffermare a riflettere e rammentare ai politici che nelle carceri italiane non vige uno stato di diritto, ma lo stesso è affidato al buon senso e alla discrezionalità di chi gestisce il “mondo carcere”, che grazie all’esperienza maturata e ai propri principi etici, morali e umani, sopperisce a numerose deficienze che non sono in linea con gli standard di umana accettabilità e decoro.

Interrotta la tematica dei migranti, si è passati a stimolare il furore di popolo contro i detenuti: argomenti ormai collaudati i cui temi sono funzionali a raggiungere consensi elettorali e a distrarre le masse dalle problematiche socio-economiche che, qualora risolte, sarebbero il vero deterrente al crimine. Alla presenza di una condizione di necessità e di urgenza bisogna avere il coraggio e la competenza di adottare provvedimenti seri e radicali, non basta indicare anni di carcerazione come unica soluzione alle reali problematiche. Il fenomeno del sovraffollamento è la conseguenza di problemi sociali irrisolti alla cui base in primis vi è l’istruzione che negli anni si è assottigliata notevolmente ed è mediamente mediocre anche tra coloro che ricoprono incarichi lavorativi di rilievo.

Oggi la dirigenza del carcere è messa di fronte ad un'accettazione di enormi responsabilità: si ha difatti certezza che qualora il virus si manifestasse nella struttura carceraria (la stessa) si trasformerebbe in un lazzaretto e in una bomba pronta ad esplodere. È possibile che da quasi due mesi ancora non siano state adottate procedure specifiche relative all’arrivo dei cosiddetti nuovi giunti, considerato che continuano ad arrivare nelle carceri potenziali portatori di virus? Detti soggetti non dovrebbero essere inseriti nei circuiti carcerari, ma nelle singole celle di sicurezza delle singole Forze di Polizia o delle strutture militari e sottoposti a controlli sanitari almeno per 14 giorni, così come sta avvenendo per tutti i cittadini.

Anche la Polizia Penitenziaria, congiuntamente al personale infermieristico e ai pochi ammessi all’area educativa devono essere sottoposti a misure di segregazione nelle caserme a loro dedicate al fine di tutelare tutta la popolazione carceraria. Ai detenuti sono stati interrotti i colloqui e, alla stessa stregua, si dovrebbe evitare nel modo più assoluto la diffusione del virus all’interno della struttura.

Sarebbe ipotizzabile dotare il carcere di almeno quattro respiratori al fine di prestare i primi soccorsi qualora fosse necessario e, come misura preventiva, sottoporre a tampone tutti i detenuti. Dette misure servono a salvaguardare la salute in primis della popolazione carceraria e degli operatori, nonché sono a garanzia della stessa dirigenza della struttura che, in questa ipotesi, sarà messa in condizione di fronteggiare concretamente l’emergenza con mezzi adeguati qualora la prevenzione passiva lasciasse filtrare il virus all'interno.

Il sovraffollamento delle carceri è la prova che manette e reclusioni non sono un valido deterrente che inducono un comportamento di rettitudine, bisognerebbe indicare politiche adeguate a breve e lungo termine. Non basta esibire le manette come deterrente all’illegalità, iniziamo adesso a risvegliare il senso di umanità, cogliamo il virus come un’opportunità per muovere il primo passo per elevare il senso e la percezione della vita. Abbiamo tutti compreso che non ne abbiamo il pieno controllo e può essere persa all’improvviso con una febbre più accentuata.

La redazione del giornale "Dietro il Cancello" di Rebibbia Nuovo Complesso


di Redazione