Mitigazione per il day after

martedì 31 marzo 2020


Reclusi senza scadenza. Tipo: fine pena, forse… Interi popoli del lockdown (il gesto che si fa quando si chiude a chiave qualcuno dietro le sbarre) prigionieri di un patogeno non più grande di un millesimo dello spessore di un capello! Un virus-spike che si aggancia con i suoi uncini biochimici alle pareti delle cellule umane aprendole come si farebbe con la combinazione di una cassaforte, per poi entrare nella nostra casa cellulare e infettarla.

Con le sue brutte sequenze da bravo patogeno pandemico figlio dello spillover animale-uomo, il Coronavirus ci ha fatti precipitare nelle atmosfere pestilenziali del buio Medio Evo e dell'epoca manzoniana dove ora come allora l'unico rimedio per evitare di incontrarlo è quello della segregazione di massa. Così, si sono chiusi a chiave intere megalopoli e sterminati Paesi da più di un miliardo di abitanti. Nel mondo, centinaia di milioni di persone completamente digiune di statistiche epidemiologiche si sono sorprese a spiare le curve del contagio, scrutando con l'assistenza di più o meno autorevoli esperti la diminuzione degli aumenti! Ma il vero problema della pandemia sono le sue… gobbe! Tutto il mondo si trova, con ritardi temporali più o meno accentuati, nella prima parte del grafico e si attendono i vari picchi e la conta finale di chi si è immunizzato e di quelli che non ce l'hanno fatta. Tuttavia, qualora il famoso fattore di diffusione R-zero non scenda dappertutto sotto uno, l'epidemia potrebbe ripartire di nuovo, come fece il secondo tempo della spagnola, facendo stavolta milioni di vittime.

Quindi, occorre fin da ora riflettere sul che fare quando la crisi attuale si sarà avviata a una risoluzione, con il declino delle curve di contagio e con il drastico ridimensionamento del numero degli accessi alle terapie intensive. Una cosa però deve essere molto chiara: per non poco tempo ancora il Coronavirus resterà tra di noi. Allora, come dovranno essere impostate le scelte politico-amministrative della mitigazione relativa al rilassamento progressivo dei vincoli del confinamento domestico attuale?

Ancora una volta, è opportuno dare uno sguardo fuori della nostra finestra, osservando le scelte dei nostri lontani vicini, come Giappone e Corea del Sud che hanno operato con un certo successo strategie alquanto divergenti di mitigazione, denominate rispettivamente mass-testing e targeted-testing (test di massa o mirati). Il primo metodo è stato adottato dalla Corea che ha testato ben 394mila persone identificando 9.583 positivi e avvalendosi di App di monitoraggio; il secondo dal Giappone che ha il doppio della popolazione di Seul e ha condotto 48mila test su cerca 28mila cittadini, con 1.724 casi risultati positivi. E qui, come nel resto delle statistiche mondiali sulla pandemia, sorge la prima questione: il numero di positivi giapponesi è minore di quello dei coreani per il semplice motivo che Tokyo ha fatto meno test di Seul? Il governo giapponese, cioè, ha fatto buon uso delle sue risorse o ha semplicemente nascosto la testa nella sabbia? Va detto che sia il Giappone che la Corea hanno optato per una cauta linea di mitigazione evitando il lockdown.

Le linee-guida del governo giapponese prevedono che i pazienti più giovani non si rechino dal medico, a meno di non avere la febbre da più di quattro giorni, e in ogni caso il test deve essere richiesto direttamente da quest'ultimo. In tal modo, i dati ufficiali sottostimano il fenomeno degli infetti ma focalizzano le risorse del sistema sanitario sulle persone più bisognose di cure, riducendo il numero decessi (solo 55 fino ad ora).

Del resto, è anche vero che test inaccurati producano più danni di quelli giusti. Per dire: la Spagna ha smesso di utilizzare i kit prodotti in Cina perché i tamponi relativi avevano un'affidabilità del 30 per cento! In tutto il mondo, per fare i test i sanitari che li eseguono devono avere a disposizione sufficienti protezioni individuali, che però sono contingentate e quindi vanno riservate al personale che opera in prima linea negli ospedali riservati all'emergenza Covid-19. Insomma, generalmente, anche nella fase di mitigazione, è preferibile non fare uso di test per chi non mostri chiari sintomi della malattia. Ma bisogna fare ben attenzione dopo la fine del confinamento alla seconda gobba (molto pericolosa) del contagio e a evitare quanto sta accadendo attualmente in Cina, dove i residenti della provincia di Jiangxi rifiutano l'attraversamento ai concittadini della confinante provincia di Hubei, nel timore di essere... contagiati!

In Italia, tuttavia, dal punto di vista del danno economico da lockdown, è come se il Titanic volendo evitare il primo scoglio abbia fermato le macchine per poi venire investito dall'altra gigantesca montagna di ghiaccio della depressione economica, per cui dalla falla a poppa fuoriusciranno senza più rientrare a bordo milioni di lavoratori più o meno precari. Il confinamento, infatti, sta facendo affondare una significativa fascia di popolazione dedita a lavoretti senza contratto, riferibili a quell'area del sommerso che sfugge completamente alla fiscalità e alla contribuzione Inps, per cui occorre trovare forme di emersione che consentano l'erogazione di un sussidio di solidarietà da far giungere il più rapidamente possibile verso i soggetti più svantaggiati oggi insidiati perfino dal rischio concreto dell'insufficienza alimentare.


di Maurizio Guaitoli