L’Italia si chiude in casa

Siamo ufficialmente una grande Hubei. Il primo e unico Paese in Europa ad aver applicato misure così impegnative per i cittadini. Quando la mattina dell’8 marzo il premier Giuseppe Conte firmò l’estensione della zona rossa alla Lombardia e quattordici province del Nord tramite dpcm, forse non è stato così convincente da mettere in guardia tutti gli italiani, tutta l’Italia, con i moniti più elementari e salvifici: rimanete in casa ed evitate di creare gruppi di persone.

Così l’altra sera ha promulgato il secondo decreto, che di fatto rende uguale tutta la nazione, da Nord a Sud. Non ci sarà più zona rossa e zona arancione (e zona verde); non ci sarà più un’Italia “reclusa” e un’Italia libera. Bensì un’unica, grande, “zona protetta”. Siamo tutti tenuti (e, a dire dall’intonazione del premier, obbligati) a rimanere in casa, limitando le uscite dall’abitazione o dalla propria città o regione solo per gravi necessità, lavoro, o per motivi di salute. Il premier ha più volte ribadito, quindi, che “restare a casa” non è una formula di circostanza, un consiglio da “avvocato del popolo”, bensì un obbligo (e qui si apre un discorso sulle libertà limitate).

Ma il tono forte assunto da Giuseppe Conte non ha fatto segno in tutti i cittadini. Ovunque è iniziata una irrefrenabile corsa ai supermercati, una sorta di grottesco esperimento sociale assolutamente sterile e, anzi, controproducente. Perché i supermercati, le farmacie e tutte le attività commerciali per le necessità quotidiane saranno regolarmente aperti, pur nei limiti delle distanze. Resta l’obbligo di chiusura alle 18 per bar e ristoranti. Chiuse invece la palestre, i centri benessere e tutti i luoghi superflui di assembramento. Estensione della chiusura di scuole e università fino al 3 aprile in tutta Italia. Chiusi (ma questa è una conferma del dpcm dell’8 marzo) musei, cinema, teatri.

Nelle ultime ore si è affacciata in maniera piuttosto diffusa la possibilità di un supercommissario (epiteto di chiaro stampo fantozziano), una figura che dovrà prendere in mano l’emergenza nazionale a fianco della protezione civile. Al di là della nomina di una figura così accentratrice (il nome di Guido Bertolaso qualcuno lo dà già per certo) è ovviamente necessario potenziare la macchina dell’organizzazione su scala nazionale, evitando quindi regionali (e personali) spunti teorici per la gestione dell’emergenza.

Il governo ha quindi trovato il principale riferimento nel modello cinese, che comunque resta inapplicabile per la realtà democratica occidentale. Il premier ha sottolineato da subito che la situazione in Italia sta assumendo connotati preoccupanti, con quasi 8mila contagi e 463 vittime.

Non esiste quindi, come la provincia cinese dell’Hubei ci sta insegnando, una possibilità di contenimento se non la chiusura delle attività e il limite estremo alla uscite di casa. Siamo secondi al mondo per contagiati e morti e, considerando che la popolazione della Cina è 25 volte la nostra, questo posizionamento sul podio non può non essere considerato grave (e vergognoso). Siamo passati da “eroi” che hanno isolato il ceppo del CoViD-19 a vero e proprio lazzaretto d’Europa e del mondo.

Cerchiamo tutti, senza rinunciare ad una esistenza normale e inedita, a limitare la diffusione di questo flagello infestante. Facciamolo per i nostri nonni, per le persone più deboli (anche giovane). Perché il nostro sistema sanitario sta per collassare. E, se tutti non saremo intelligenti da contenere la diffusione, si farà inevitabilmente una conta su chi curare e chi lasciare alla provvidenza.

Aggiornato il 11 marzo 2020 alle ore 15:56