Mattarella incontra i giovani magistrati: l’etica del Dovere

All’incontro con i giovani magistrati tirocinanti (Palazzo del Quirinale, 26 febbraio 2020), Sergio Mattarella ha ricordato che il rapido divenire sociale chiama sovente la magistratura ad “elaborare soluzioni nuove e concrete, che devono trovare comunque, necessariamente, nel tessuto normativo il loro fondamento e, al tempo stesso, il loro limite”.

Occorre infatti aver ben chiaro “il confine che separa l’interpretazione della legge dall’arbitrio nella creazione della regola e dall’ imprevedibilità della risposta di giustizia. Arbitrio e imprevedibilità che rischierebbero di minare in maniera seria la fiducia nell’ordine giudiziario e la sua credibilità”.

Al contempo, la coerenza giurisprudenziale nell’interpretazione delle norme rinforza la fiducia dei cittadini nel sistema giudiziario, dando attuazione al principio di uguaglianza dettato dall’articolo 3 della Costituzione ed assicurando la parità di trattamento tra casi simili.

Con la consueta, significante sobrietà espressiva, il Presidente ha tenuto altresì a ricordare che a fronte della necessità dell’evoluzione giurisprudenziale per la crescita della civiltà giuridica, il correlato percorso deve essere caratterizzato “da serietà nell’approfondimento e ponderazione nelle scelte [cui] - ha precisato - sono estranee estemporaneità e avventatezza”.

A quei giovani che sono all’inizio di un percorso quant’altri mai professionalmente ed eticamente impegnativo, il Capo dello Stato ha rivolto un’ esortazione che è al contempo un monito: l’interpretazione delle norme va “responsabilmente orientata ad assicurare una risposta giudiziaria adeguata alle istanze di tutela, ma necessariamente sempre radicata nel diritto positivo”.

Il sapere giuridico deve necessariamente integrarsi con la “la capacità di ascoltare e di confrontarsi culturalmente”; mentre l’attività giurisdizionale nel concreto va esercitata “con professionalità e riserbo, avendo sempre presente il principale dovere che deve assumere il magistrato: l’eticità dei suoi comportamenti, anche nelle varie forme di comunicazione”.

Nella storia della magistratura vi sono stati dei giudici che non hanno deciso di essere eroi e non hanno interpretato la funzione giudiziaria come un compito volto ad acquisire meriti e riconoscimenti - ha sottolineato l’Oratore - ma che hanno “semplicemente scelto di svolgere la loro attività con coerenza e con rigorosa dedizione, avvertendone e difendendone l’alta dignità”.

Paolo Borsellino - ha proseguito - :“non ho mai chiesto di occuparmi di mafia, mi è capitato per caso. E poi ci sono rimasto per un problema morale: la gente mi moriva attorno”.

Il Presidente della Repubblica ha infine auspicato che la memoria di queste grandi figure sia tenuta viva “per evocarne lo stile esemplare del loro essere magistrati al servizio della giustizia e del Paese, senza aver ricercato notorietà: le figure esemplari sono quelle di coloro che si dedicano, con generosità e disinteresse personale, all’affermazione dei valori di libertà e di giustizia mettendo - talvolta anche consapevolmente - a rischio la propria vita”.

Le parole del Capo dello Stato scaturiscono dai recessi di un’anima che fu personalmente colpita nel profondo degli affetti più cari, dal momento in cui venne ucciso dalla mafia l’adorato fratello Piersanti, Presidente della Regione Sicilia, un martire che pagò con la stessa sua vita la dedizione al bene comune ed alla giustizia, intesa come anelito dello spirito, prima ancora che come norma scritta.

Aggiornato il 27 febbraio 2020 alle ore 13:22