I rifiuti a Roma: l’unica soluzione è decidere

Non mi stancherò mai di ripetere che tra i problemi più gravi che assillano la nostra Capitale d’Italia è quello legato alla gestione dei rifiuti urbani.

Il Campidoglio e la Regione non sono stati in grado di tamponare l’emergenza rifiuti e continuano a fare a scaricabarile.

Le politiche strategiche di sostenibilità ambientale incentrate sui “rifiuti zero” e la retorica del Green New Deal hanno davvero stancato: i rifiuti si producono e si gestiscono a casa propria con le migliori tecnologie disponibili. Altrimenti, la spazzatura continuerà a circolare verso le altre regioni del centro-nord Italia e l’Europa (nel 2018 sono stati spediti complessivamente quasi 500mila tonnellate fra rifiuti e residui di trattamento) con costi non indifferenti a carico dei cittadini romani (la Tari a Roma è la più alta d’Italia) e con un impatto ambientale significativo. Ma non dimentichiamoci di un altro elemento critico: non “decidere” a livello politico significa lasciare il nostro territorio poco attrattivo, fragile, inquinato e insicuro nelle mani della malavita organizzata.

La domanda che molti si pongono è la seguente: la responsabilità dell’emergenza rifiuti a Roma è del Campidoglio o della Pisana? Il sindaco grillino ha commesso tanti errori: ha aggravato la situazione economico-finanziaria della municipalizzata Ama, ha provocato le dimissioni del cda della stessa per ben 7 volte in tre anni e mezzo di governance e ha voluto inculcare nella testa dei cittadini romani che i rifiuti spariscono con la bacchetta magica (senza dimenticare i continui annunci sulla raccolta differenziata spinta). Il presidente della Regione Lazio, nonché segretario nazionale del Partito Democratico, è il vero colpevole della situazione di degrado ambientale. Perché? Il Testo Unico Ambientale stabilisce che la Regione ha, tra le diverse competenze in materia di gestione dei rifiuti, il dovere di: approvare progetti di nuovi impianti per la gestione dei rifiuti, autorizzare le modifiche degli impianti e l’esercizio delle operazioni di smaltimento e recupero di rifiuti (anche pericolosi). Bene, anzi male. Dal 2013 ad oggi, la Regione Lazio ha chiuso il termovalorizzatore di Colleferro (revampato già con i soldi dei contribuenti laziali) e bloccato il progetto di realizzazione di quello di Albano Laziale e l’impianto di gassificazione di Malagrotta, compresi altri impianti di trattamento e smaltimento dei rifiuti nel territorio romano (mettendo in difficoltà le imprese sane e qualificate e i lavoratori coinvolti) e continua a demonizzare i termovalorizzatori di ultima generazione, al punto che nel nuovo piano regionale (in fase di approvazione da parte del Consiglio regionale) non vi è traccia.

Al contrario, in molte città europee come Barcellona, Malmö, Stoccolma, Vienna, Parigi, Berlino, Copenaghen e Milano, i termovalorizzatori vanno a gonfie vele grazie a buona parte dei rifiuti prodotti a Roma e, nelle scorse settimane, la Commissione europea ha deciso di finanziare con 103 milioni di euro la realizzazione di due impianti della stessa tipologia in Polonia per migliorare la gestione dei rifiuti e per garantire vantaggi economici e sociali alle comunità locali interessate: energia elettrica, calore termico e tutela dell’ambiente e della sicurezza pubblica.

Vi ricordate l’emergenza rifiuti a Milano nel 1995? Con determinazione e coraggio, le istituzioni locali riuscirono a sconfiggerla, realizzando diversi impianti di recupero energetico dei rifiuti non riciclabili che sono invidiabili in Europa per le ottime performances ambientali. Perché Roma non segue lo stesso modello milanese? Serve senso di responsabilità e capacità di decidere da parte della politica. Quello che manca alla Capitale d’Italia e soprattutto alla Regione Lazio.

Aggiornato il 25 febbraio 2020 alle ore 11:50