Burioni come il dottor Li, la polizia del pensiero fa danni in Italia come in Cina

Il professor Roberto Burioni come il dottor Li Wenliang? Ci sono molte differenze, certo, ma anche analogie, tra le due vicende e in particolare tra le accuse di “allarmismo” della polizia cinese al dottor Li Wenliang e quelle analoghe lanciate dalla nostrana ‘polizia politica del pensiero al professor Burioni e ad altri presunti “allarmisti”. Analoghi sono stati anche gli effetti e i gravi danni: in entrambi i casi le autorità hanno perso tempo e non hanno preso subito tutte le misure necessarie a limitare o evitare la propagazione del virus, con esiti catastrofici, sia in Cina, sia in Italia. Anzi in Italia la competenza e la scienza sono state ignorate e umiliate anche più che in Cina. Il governo ha preso misure spettacolari di pura propaganda senza ascoltare gli esperti. E sono stati pedissequamente seguiti dai maggiori giornali e tivù.

Questi ultimi, concentrati nella caccia al fascioleghista e al razzista, non hanno visto la stupidità del blocco dei voli diretti da e per la Cina deciso dal governo italiano. Non hanno visto che quel blocco rendeva non tracciabili i viaggiatori in provenienza dalla Cina che infatti lo aggiravano allegramente con voli indiretti e con un rientro via terra. La stessa Francia non ha adottato quel blocco (né ha misurato la temperatura a tutti negli aeroporti), ma ha adottato una linea di controlli orientati alla tracciabilità. Insomma in Italia. Almeno quanto in Cina, i maggiori media si sono dimostrati succubi della propaganda governativa e dello spettacolo di finta efficienza messo in scena da Conte e compagni.

Il legittimo timore di una diffusione ingiustificata del panico, sia in Italia, sia in Cina ha travalicato i limiti del ragionevole ed ha portato, sia in Cina, sia in Italia, ad ignorare e derubricare come “allarmismo” i fondati timori di due medici che dovevano essere ritenuti competenti. Meritavano un’attenzione ed una verifica che non c’è stata. E non c’è stata per analoghi motivi: sia il dottor Li, sia il professor Burioni sono stati accusati di allarmismo politicamente motivato. Il dottor Li, anche perché cristiano, è stato sospettato di volere incrinare, con i suoi allarmi, l’ordine, la stabilità e l’armonia sociale, slogan principali del regime confuciano-comunista che si autodefinisce “il migliore dei mondi possibili”. In Italia il professor Burioni, che proponeva una quarantena per tutti i provenienti in Italia dalla Cina, cinesi o italiani che fossero, è stato definito apertamente “fascio-leghista dal governatore della Toscana, Enrico Rossi, seguito poi da zelanti operatori dei media. “Razzisti”. Negli stessi giorni, venivano definiti su diversi media i governatori di Lombardia, Veneto e Friuli che chiedevano la quarantena anche per i bambini cinesi o italiani che rientravano dalla Cina. Ci sono certo differenze: in Italia ad accusare di allarmismo Burioni, e tutti coloro che chiedevano quarantene per tutti, sono stati soprattutto, oltre ad alcuni politici, soprattutto giornalisti e conduttori televisivi.

Certo tra una polizia vera ed una del pensiero c’è una differenza “sostanziale”. Tuttavia i nostri sbirri mediatici hanno svolto, con diversi mezzi, una funzione del tutto analoga a quella che hanno svolto in Cina i poliziotti veri: quella di una solerte e zelante difesa del governo a cui sono legati, con infondati sospetti e accuse rivolte a due medici sospettati di diffondere allarme per ragioni politiche: in sostanza di essere due lestofanti. In entrambi i casi si sono rivelati politicamente motivati (e qualcosa di peggio), non i due medici, ma proprio coloro che li hanno sospettati ed ingiustamente accusati di motivazioni politiche. Ciò sembra confermare e giustificare la definizione di “polizia politica del pensiero” per quel gruppo di giornalisti e conduttori televisivi politicamente ipercorretti, che sembrano alla costante caccia al “razzista” e al “fascista”, in realtà a chiunque non si allinei al loro pensiero unico conformista.

E ignorando l’oggettività, la competenza e la scienza. C’è un’altra differenza inquietante tra Cina ed Italia: in Cina c’è stata una reazione di massa al trattamento riservato al dottor Li, il quale, come si sa, dopo essere stato “riabilitato” è tornato al suo posto di lavoro ed è morto proprio di coronavirus. Sui social cinesi, prima di venire cancellati dalla polizia, l’hashtag “È morto il dottor Li Wenliang” ha avuto ben 670 milioni di visualizzazioni. Sebbene censurati, sono comparsi migliaia di post che commentavano la vicenda di Li sotto un hashtag che significa pressappoco: “Vogliamo libertà di parola”.

In Italia niente di analogo è avvenuto, almeno finora. La differenza è spiegabile innanzitutto con il fatto che il professor Burioni, per fortuna, non è morto. Inoltre le proporzioni dell’epidemia sono molto meno estese e gravi che in Cina. Comunque in Cina dirigenti regionali e di polizia sono stati presto rimossi: per decisione dall’alto certo, ma anche a furor di popolo, mentre in Italia pochissimi chiedono conto al presidente della Regione Toscana e a quei funzionari della nostra polizia politica e mediatica del pensiero. Essi appaiono come impunibili e al di sopra di ogni chiamata di responsabilità pubblica. E continuano imperterriti a disquisire ed inquisire distribuendo patenti e anatemi. A chi chiede loro di rispondere delle loro false accuse e delle conseguenze (la diffusione del virus) rispondono, anzi con una nuova accusa: quella di “sciacalli”. Le accuse cambiano. Gli accusatori restano. E fanno danni gravi e irreparabili.

Aggiornato il 24 febbraio 2020 alle ore 12:08