Proposte per un nuovo Sistema della Ricerca e dell’Innovazione in Italia

Come noto, la globalizzazione continua a cambiare i paradigmi del lavoro ed impone l’introduzione di regole che consentano di limitare gli squilibri socio-economici prodottisi in società diverse. Gestire questo processo richiederà anni e, quindi, per ridurre e in prospettiva minimizzare i danni già oggi prodottisi nel nostro Paese occorre che si definisca una strategia di medio-lungo termine che razionalizzi ed innovi, in particolare, il sistema dell’alta formazione e della ricerca pubblica, evitando però stravolgimenti, utilizzando interventi a “costo zero” volti ad aumentare l’efficienza e contestualmente l’efficacia della ricerca sul mondo del lavoro.

Semplificando, con uno slogan, occorre impegnarsi per realizzare una delle più importanti e strategiche “infrastrutture immateriali del Paese” che ha come “pilastri portanti”: la formazione, l’università, la ricerca, l’innovazione ed il lavoro.

Per riformare e rilanciare la ricerca in Italia non si può operare per singole settori: il modello economico europeo impone, infatti, una visione politica e industriale del Sistema Italia che, oltre alla ricerca di base, richiede un modello di ricerca ed innovazione orientato, coordinato e sinergico da una lucida strategia che presuppone anche una policy industriale. Sinergia e omogeneizzazione (leggi divario Nord-Sud) devono declinarsi congiuntamente nella formazione, nella ricerca, nell’innovazione e nelle imprese: favorendo una reale osmosi tra i ricercatori universitari e quelli degli Enti Pubblici di Ricerca (Epr) e dell’industria; lo stesso dicasi per i dottorati di ricerca (finora troppo focalizzati sulla produttività scientifica) che andrebbero valorizzati ed incentivati, in particolare per l’indirizzo industriale a garanzia di una sana interazione ed integrazione tra la ricerca universitaria e la crescita dell’impresa.

 L’esigenza di portare a sistema tutte le varie componenti, che operano nel settore della Ricerca in Italia, è sentita come prioritaria dagli addetti ai lavori, per allinearci ai maggiori competitori europei e non solo. Inoltre, oltre alle risorse finanziarie che vanno incrementate (ma solo se si razionalizza il sistema Ricerca), vi è la richiesta di avere un calendario preciso, pluriennale, da aggiornare annualmente, da parte della comunità scientifica: in altre parole, sapere quando escono i bandi per evitare le discontinuità che hanno caratterizzato ad esempio quelli Prin.

Purtroppo, occorre registrare l’approssimazione e la superficialità con cui il Governo “arancione” o “rosso-giallo” ha affrontato la questione introducendo, senza un serio dibattito nella comunità scientifica, un articolo nel maxiemendamento che ha sostituito l’ultima legge di Bilancio, per giunta ad insaputa del responsabile del Miur. In particolare, l’articolo della legge prevede l’istituzione di un’Agenzia Nazionale della Ricerca (Anr) dotata di autonomia statutaria, organizzativa, tecnico-operativa e gestionale ed è sottoposta alla vigilanza della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Miur.

Ma l’Anr italiana, contrariamente ad altre agenzie europee, non gestirà buona parte dei finanziamenti competitivi dello Stato, bensì un proprio budget che si assesterà solo nel 2022 in 300 milioni di euro, lasciando che i singoli ministeri continuino a gestire i propri bandi (Prin, Firb, Ricerca finalizzata, ecc.) come prima. In questo modo si rinuncia all’obiettivo principale di uniformare, sotto un unico ente e secondo modalità trasparenti e indipendenti, l’intera partita dei bandi di ricerca. In altre parole: se tutti i ministeri continuano a mantenere i loro progetti, l’Anr diventerà un ulteriore ente “carrozzone”, senza realizzare la razionalizzazione richiesta.

L’Anr sembra ispirarsi all’Agenzia francese che ha una forte impronta politica nelle nomine ma, a differenza di quest’ultima, non prevede un Comitato scientifico composto da scienziati, anche stranieri, estranei alle logiche politiche con funzioni di indirizzo e di controllo che si riunisce periodicamente, e operi la selezione di progetti da proporre al finanziamento secondo le buone pratiche in uso nella comunità scientifica internazionale. Un organismo simile, peraltro, è presente anche nella struttura di governo del Coordinamento dei Research Councils britannico. In altre parole: se le scelte sono fatte solo dai politici senza tener conto della componente scientifica, si rischia di sprecare ulteriori risorse.

Altri elementi di criticità sono rappresentati dal fatto che le attività e le regole di funzionamento dell’Anr saranno disciplinate da un successivo Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, e che l’Agenzia interverrà a finanziare solo alcune aree della Ricerca cosa che rischia di penalizzare alcuni settori scientifici, se non individuate in un quadro generale costruito per l’interesse del Paese.

Concretamente serve avere “più ricerca per più lavoro” favorendo la “trasportabilità delle conoscenze” al Sistema Italia e la generazione di valore aggiunto sotto il profilo socio-economico, attraverso una “governance unica”, prevedendo l’istituzione di una Agenzia Nazionale per la Ricerca e l’Innovazione (Agenzia), che andrebbe presieduta dal Presidente del Consiglio dei ministri al quale andrebbe attribuita l’alta direzione, la responsabilità politica generale e il coordinamento delle politiche dei sette Ministeri vigilanti gli attuali ventidue Enti Pubblici di Ricerca (Epr). In altre parole: l’introduzione della parola Innovazione è importante per sottolineare come il settore della Ricerca non può essere disgiunto dall’applicazione delle nuove conoscenze.

L’Agenzia dovrebbe essere una struttura “agile e snella” e dovrebbe intervenire minimizzando gli interventi sull’esistente, evitando che si inneschino conflittualità tra i ministeri vigilanti gli Epr, scongiurando così il pericolo di destabilizzare ulteriormente il sistema come avvenuto per effetto di un “perenne riformismo di facciata”.

Dell’Agenzia dovrebbero fare parte i sette ministri vigilanti gli attuali Epr ed il presidente della Conferenza delle Regioni, le quali hanno competenze anche sulla ricerca. Tra i suoi compiti principali si individuano quelli di favorire una completa sinergia tra i diversi soggetti operanti nel sistema italiano della ricerca, realizzando un raccordo tra i programmi europei e quelli internazionali, una pianificazione di medio e lungo termine delle risorse economiche, un coordinamento di tutte le istituzioni di ricerca a carattere scientifico di rilevanza nazionale coinvolgendo, conseguentemente, tutte le aree disciplinari.

 Inoltre, andrebbe istituito un Fondo Nazionale per la ricerca e l’innovazione in cui dovrebbero confluire le risorse finanziarie (che attualmente le università destinano alla ricerca e all’innovazione) e i fondi dedicati alla ricerca che i Ministeri assegnano attualmente agli Epr da loro vigilati, garantendo le risorse per la gestione delle strutture di ricerca e del personale, oltre alle risorse ottenute per le infrastrutture di ricerca (sia nazionali che quelle per la partecipazione a infrastrutture internazionali).

La valutazione della ricerca dell’Università e degli Epr dovrebbe continuare ad essere svolta dall’Anvur, ma come organismo tecnico dell’Agenzia e non più del Miur, invece dovrebbe essere di competenza dell’Agenzia la valutazione globale dei ritorni e dei risultati dei programmi pluriennali per gli aspetti sociali, strategici ed economici.

Molto importante sarebbe la creazione di uno “Statuto speciale” per il Comparto Ricerca-Innovazione nell’ambito della P.A.; la costituzione di un “Organico unico” per il personale di tutti gli Epr il cui status è lo stesso (CCNQ 2016-2018); e l’introduzione di norme semplici per realizzare una significativa circolazione dei ricercatori in Italia ed in Europa che minimizzi la cosiddetta “fuga dei cervelli” favorendo, con una maggiore attrattività delle nostre istituzioni, la piena attuazione della Carta Europea e del Codice di Reclutamento dei Ricercatori. Non trascurando però i settori umanistici, che sono nel Dna culturale del nostro Paese, e andrebbero valorizzati ed integrati con quelli scientifici, in una realtà sempre più multidisciplinare.

I punti rappresentati sono stati organicamente definiti in una bozza di disegno di legge che si pensa di portare presto all’attenzione della comunità scientifica e della politica, per affrontare seriamente il problema della Ricerca e dell’innovazione in Italia.

In conclusione, partendo dal presupposto che senza eccellenza nella conoscenza non c’è competitività e futuro, pertanto è opportuno, nell’interesse nazionale, che l’Italia si doti di un’Agenzia per il coordinamento delle politiche generali della ricerca e dell’innovazione che per il carattere strategico, va affidata alla Presidenza del Consiglio dei Ministri.

(*) Socio Astri, ex direttore dell’Ifsi-Inaf ed ex componente della Giunta esecutiva e del Consiglio direttivo dell’Infn

Aggiornato il 19 febbraio 2020 alle ore 13:04