Le sfide dell’Inpgi: rosso di 200 milioni e stati di crisi selvaggi

La Gazzetta del Mezzogiorno, il quotidiano dei pugliesi e dei lucani fondato nel 1921, rischia seriamente di chiudere. L’allarme è stato lanciato proprio nei giorni in cui i giornalisti italiani si recavano alle urne per rinnovare i vertici dell’Istituto di previdenza. La crisi dell’editoria è preoccupante. Negli ultimi 5 anni il settore ha perduto 2.704 posti di lavoro e sono in corso nei tre maggiori giornali italiani (Corriere della Sera, Stampa e Repubblica) vaste operazioni di pensionamenti, prepensionamenti e trasferimenti di sede.

C’è una boccata d’ossigeno, ma solo di 24 mesi, contro lo stop dei contributi all’editoria non profit e cooperativa. Il rinvio al taglio del Fondo per il pluralismo dell’informazione dovrebbe servire per avviare la riforma del settore. Per i prossimi mesi conteranno i fatti se si vuole difendere e tutelare il mondo dell’editoria che annovera in Italia 6.664 testate tra quotidiani e periodici, 403 emittenti radio e tv, 5.311 uffici stampa.

Il giornalismo italiano in crisi rischia l’estinzione? In pochi ne sono convinti ma certamente la perdita dell’autonomia dell’Inpgi che per i bilanci in rosso passerebbe all’Inps e le pressioni (spesso indebite) del governo e dei partiti preoccupano fortemente. La stampa italiana è debole e fragile, diversamente da quella americana, anglosassone, tedesca e giapponese. L’anomalia è che in Italia ci sono 110mila giornalisti iscritti all’Ordine, di cui 30mila professionisti e 75mila pubblicisti collaboratori che svolgono altre attività.

I nodi per l’Inpgi arrivano dal fatto che soltanto 15.876 professionisti attivi hanno un contratto di lavoro giornalistico, appena il 16 per cento. Tutti gli altri vanno cercati nelle aziende, nelle Pubbliche amministrazioni, nelle agenzie di comunicazione, nei collaboratori freelance, nel mondo autonomo delle Partite Iva. Un campo molto vasto dove si potrebbe intervenire per recuperare i soldi dei contributi che mancano. In sostanza si dovrebbe, secondo un orientamento, non tanto allargare la base ai cosiddetti “comunicatori”, figura incerta e che non fa parte del perimetro fissato dalla legge per l’esercizio della professione giornalistica, quanto la progressiva estensione del contratto nazionale anche a migliaia di co.co.co. e collaboratori finti autonomi che dimostrino di lavorare di fatto come dipendenti anche a tempo pieno nelle testate e negli uffici stampa.

Un altro ampliamento delle base contributiva potrebbe avvenire attraverso il recupero dei contributi di artisti e commentatori, specie sportivi nelle rubriche giornalistiche, che oggi li versano, se lo fanno, in altri istituti. I nuovi vertici eletti nell’ultima tornata elettorale hanno davanti sfide di grande portata che determineranno il futuro dell’ente. Il gruppo di “Controcorrente”, che gestisce l’istituto dal 1994, ossia dalla privatizzazione del 1994, ha confermato la maggioranza anche se l’opposizione ha ottenuto un ottimo risultato, penalizzata dal regolamento statutario che favorisce le coalizioni delle piccole realtà territoriali.

Per il Consiglio generale dei professionisti (62 componenti di cui 10 pensionati) hanno votato quasi 22mila giornalisti e per quello dei pensionati quasi 16mila. L’assenteismo si è fatto sentire. Scattano ora le procedure per arrivare, entro due mesi, all’operatività del nuovo presidente e del nuovo consiglio di amministrazione. C’è da affrontare subito la drammatica impennata del deficit di bilancio: quello del 2020 con un rosso di 188,8 milioni sarà il peggiore della storia dell’istituto e il decimo negativo consecutivo.

Aggiornato il 19 febbraio 2020 alle ore 10:59