Sul virus insistere sulla Cina, non le fake news

Lo ha detto chiaramente a Italia sera, su Rete 4, Paolo Liguori. Si discute molto, ma si fa poco per avere notizie certe sul virus. E dalla trasmissione di Barbara Palombelli il direttore del Tgcom24 non ha esitato a chiarire che non è complottismo insistere se il virus è partito dal centro di ricerche di Wuhan o abbia seguito altre vie, dal mercato e dagli animali all’uomo. Ai fini delle caratteristiche, della mortalità e della forza del contagio è importantissimo. Tanti ancora a pensare che la Cina è una dittatura e che è risaputo che i regimi comunisti sono assai poco trasparenti. Non basta e non è più del tutto vero. Il bavaglio cinese è anche un alibi.

Ci sono prerogative, requisiti e la possibilità con relazioni commerciali, culturali, politiche strettissime di chiedere alla Cina comunicazioni ufficiali più dettagliate e pretendere dichiarazioni ufficiali del presidente. Con tutte le colonie di cinesi qui e italiani lì siamo unitissimi e abbastanza “amici” per usare l’arma delle relazioni. Leggiamo invece che Donald Trump ha parlato con Xi Jinping al telefono. E allora? Possiamo attenerci alle indiscrezioni di due potenze rivali? E noi, ci limitiamo alla “campagna spring rolls innocuo” con le foto ricordo, il finto razzismo, chi specula, le notizie scarne o gonfiate, oppure date e smentite?

Che sorte avrà il ragazzo di 17 anni di Grado (Gorizia), Niccolò, rimasto nell’abisso di Whuan per 4 decimi di febbre, che in due giorni sarebbe dovuto salire sul volo che ha portato altri 9 ragazzi dalla Cina, poi è stato smentito dallo stesso ministro degli Esteri Luigi Di Maio, che ora promette che partirà un Falcon per riuscire ad atterrare e prelevare il giovane italiano spaventato e solo. Speriamo che l’operazione si concluda, ma un altro imprenditore italiano rimasto laggiù parla di “stato di guerra” sulla quarantena.
Sarà pure banale pretendere una comunicazione reale e garante trattandosi di una ex dittatura, ma rischia anche di diventare una dittatura “di comodo”, perché non ci si può assestare sul passato ma sarebbe necessario mettere in campo nuove energie, mezzi, canali diplomatici, social, legami Italia-Cina, i nostri connazionali e le aziende, le partnership, per pretendere notizie più precise e reali. Non la vecchia Pechino di Mao, ma la Cina di oggi.

È anche il vecchio adagio sul comunismo di cortina fomenta allarmismo, minimismo, complottismo e una valanga di falsità, mentre finisce alterata e incompresa la vera tragedia che sta attraversando la stessa Cina e che minaccia il mondo. Siamo tacciati di ingenuità se ci aspettiamo verità, razzisti se chiediamo cautele, intolleranti se vogliamo informazioni dirette, mentre coi nuovi media e i tanti informatori in campo dovremmo aprire un nuovo capitolo sulla comunicazione col dragone rosso.

È normale dire così tanto poco sulla fine del povero medico di Whuan che ha dato l’allarme, si è preso il virus, è stato arrestato, ha segnalato che i decessi non erano normale influenza, è riuscito a comunicare con la rete, e alla fine è morto pover uomo. Chi mente di più? E quando serve, dov’è la tivù verità, i citofoni, i cellulari, le telecamere d’assalto? Una dittatura in era digitale è ridicolo solo pensarlo e dirlo è colpevole. E oggi l’informazione può e deve fare molto per i casi di persone inghiottite in paesi a rischio, per gravi emergenze, per una comunicazione che non reitera il passato, ma impone la nuova era di “tivù salvavita”. Ha ragione Paolo Liguori che si è indignato, qui occorre capire per evitare disastri.

 

 

Aggiornato il 11 febbraio 2020 alle ore 16:59