Con Alessandro Meluzzi processiamo le carceri

La qualità della vita nelle strutture carcerarie italiane è da sempre oggetto d’indagini giornalistiche e sanzioni europee. La media di un suicidio a settimana, tra detenuti ed agenti di custodia, attesta le case circondariali dello Stivale in cima alle classifiche delle strutture occidentali non educative, anzi persecutorie. Al punto che la Turchia, più volte bacchettata per il non rispetto dei diritti umani nelle strutture di pena, nel 2018 ha obiettato all’Ue che “le carceri turche garantiscono gli stessi standard degli istituti italiani, quindi di una nazione dell’Ue”.

Tralasciamo i casi d’ingiusta detenzione, il caso di Carlo Carpi, che sconta una pena al Marassi di Genova per calunnia (e forse rimarrà dentro per “stalking politico”), è uno dei tanti episodi in cui il lassismo (persecutorio e colpevole) del sistema giudiziario nega i domiciliari e l’affidamento in prova. Del resto “più carcere per tutti” è la ricetta del Guardasigilli pentastellato, Alfonso Bonafede.

Intanto, insieme all’amico Alessandro Meluzzi (vescovo ortodosso, psichiatra e docente di psicologia), si cercherà quanto prima di processare in assise culturale (un convegno) il sistema giudiziario e carcerario del nostro decadente Paese (decadente come la Turchia del Pascià che perseguitava gli armeni). “Amministrazione penitenziaria indegna, negata l’assistenza psicologica ai poliziotti penitenziari del carcere di Torino – racconta Meluzzi – Nei giorni scorsi il carcere di Torino è assurto a vario titolo agli onori della cronaca, oltre che per le evasioni di detenuti di notevole pericolosità comunque ammessi al lavoro esterno e non rientrati in carcere, anche in ragione delle denunce ad alcuni appartenenti al Corpo di Polizia penitenziaria per presunte torture in danno di detenuti. In tale contesto di estrema e grave tensione avevo offerto la mia consulenza volontaria e del tutto gratuita in favore degli appartenenti al Corpo, tant’è che l’Osapp, tra l’altro – continua Meluzzi – aveva richiesto alla direzione dell’Istituto di pena di Torino di voler autorizzare il mio ingresso per un primo incontro con il personale, propedeutico a successive iniziative anch’esse volontarie e gratuite”.

Eppure, come ci rammenta Meluzzi, la direzione del carcere di Torino è la stessa che aveva nel recente passato (e senza alcuna remora) più volte autorizzato l’ingresso nell’istituto torinese, e per non chiari scopi sociali, di ex terroristi in passato coinvolti nell’omicidio di agenti di custodia ed appartenenti alle forze dell’ordine. Resta il fatto che, dopo la richiesta dello psichiatra Meluzzi, la direzione carceraria ha dapprima tergiversato, e poi ha passato la palla dell’autorizzazione all’ingresso al Provveditore regionale in missione, Pietro Buffa. Quest’ultimo, già direttore del carcere, a sua volta ha negato l’autorizzazione all’accesso dello psicoterapeuta Meluzzi, adducendo la “necessità di ulteriori approfondimenti”.

Emerge tutto nelle premesse di un intervento dell’Osapp (Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria) a firma del segretario generale Leo Beneduci: una missiva all’indirizzo del ministro della Giustizia Alfonso Bonafede e dei presidenti dei gruppi parlamentari. “Anche la scelta di non comprendere quali gravi tensioni affliggano il personale di Polizia penitenziaria in servizio a Torino – scrive Beneduci – nei fatti differendo sine die un supporto e strumenti psicologici resi per la prima volta disponibili in forma del tutto gratuita e volontaria agli appartenenti del Corpo, dimostra fuori di dubbio quanto i ‘soloni’ dell’amministrazione penitenziaria costituiscano oramai un corpo separato e del tutto estraneo alle esigenze del personale e che le scelte nell’amministrazione penitenziaria riguardano esclusivamente la popolazione detenuta, a cui solo vanno ormai nel nostro Paese le più significative attenzioni, piuttosto che nei riguardi delle donne e degli uomini che operano nelle carceri italiane, che rischiano ogni giorno la propria incolumità e la propria vita nell’interesse dell’ordine costituito e della collettività nazionale. Nello stigmatizzare come improvvida e scriteriata la mancata decisione del direttore della Casa circondariale di Torino, L. C. Domenico Minervini e del Provveditore regionale in missione, Pietro Buffa – prosegue il segretario dell’Osapp – ci è d’obbligo specificare che purtroppo, mai come da quando è ministro della Giustizia il pentastellato Alfonso Bonafede, la Polizia penitenziaria sia pervenuta a tali livelli di degrado e di disattenzione con annessi rischi, che da un sistema penitenziario assolutamente malfunzionante potranno investire e ledere gli interessi di sicurezza e di civile convivenza dei cittadini onesti. Nei sensi indicati – conclude Beneduci – l’Osapp, che ha già proclamato lo stato di agitazione nazionale del personale di Polizia penitenziaria e che si prepara ad assumere pubbliche e tangibili iniziative di protesta sul territorio, stante il silenzio sino ad oggi riscontrato, rivolge l’ennesimo appello alle forze politiche che veramente abbiano a cuore nei fatti e non esclusivamente nelle dichiarazioni delle piazze le sorti del Corpo di Polizia penitenziaria, quale unico Corpo di Polizia dello Stato avente funzioni per legge anche risocializzanti, perché finalmente separino dal futuro della Polizia penitenziaria una classe dirigente del tutto estranea agli interessi del personale e per la sicurezza delle carceri italiane e che ha fatto dello stesso Corpo un esclusivo strumento per le proprie carriere individuali”.

Mettendo insieme tutte le pulsioni, emerge che il problema carcerario accomuna detenuti e guardie. Rammentiamo che molti buoni cittadini restano detenuti per rimpalli burocratici, mentre i più malandrini usufruiscono di agi e permessi: “Una giustizia arrogante e menefreghista… all’italiana”, ci confessa un dirigente indignato.

Aggiornato il 31 ottobre 2019 alle ore 10:14