Insulti quotidiani

E’ fatto notorio che le elezioni tirino fuori il peggio di noi. Noi, noi tutti, nessuno escluso o, forse, i “signori” e le “signore” sì. Sotto elezioni, che sia prima, durante, o dopo, i toni inevitabilmente si alzano oppure, evitabilmente, si abbassano. Come nel nostro caso. Anzi: nei nostri casi.

Negli ultimi giorni il panorama mediatico è stato tempestato di brillanti episodi di volgare dileggio che è curiosamente confluito in una serie infilata di sgradevoli articoli di giornale e molto poco edificanti esternazioni televisive nonché dialoghi fra sordi tra personaggi più o meno famosi esplicitamente appartenenti a fazioni politiche diverse. La qual cosa, di per sé, sarebbe anche indice di un certo pluralismo e “normale” persino in una nazione che normale non è e mai lo sarà e non solo quando c’è di mezzo la politica (cioè, in Italia, sempre).

Ma quel che, stando al risultato elettorale del fine settimana scorso, infastidisce ormai anche l’umbro medio, è la protervia di certa sinistra educanda, massima espressione di “quelli che ben pensano”, che prima si scandalizza per ogni mosca che vola e poi all’improvviso vede rosso, cade preda di un raptus mistico e, raso al suolo ogni buon proposito di restare umana, comincia a sparare ad alzo zero sull’avversario politico nel modo più bieco, più arrogante, più squallido, più disumano e più politicamente scorretto possibile.

Il crollo sinaptico che porta alla perdita della tangente logica e fa scadere nel clinico può essere causato da cose apparentemente banali che vanno dalla t-shirt satirica e volutamente sessista venduta da una catena di supermercati al decollo verticale che parte da innocue parole come “negro” e arriva in tre secondi netti all’ossessione paranoica del politicamente corretto in tutte le sue sfumature più ottuse.

L’episodio più inquietante di questa patologia è senza dubbio l’articolo di Repubblica della settimana scorsa contro Giorgia Meloni a firma di Francesco Merlo, che sarà anche oggetto di formale querela. Difficilmente su Repubblica si era letto un pezzo a tal punto gratuitamente offensivo e presumibilmente costruito a tavolino per denigrare senza specificare, per svalutare senza circostanziare con quella mira da cecchini dell’informazione veri che sanno calcolare anche la bava di vento per centrare in fronte il cardellino. Ma per quella inversione della realtà che affligge detta sinistra e che ormai ha un che di patologico, la Meloni per la Repubblica è valchiria wagneriana affonda navi da finire e definire con descrizioni pittoresche che, oggettivamente, ad un occhio più giuridico che critico non rasentano l’insulto: lo sono.

Poi è stata la volta della giornalista marocchina naturalizzata italiana esperta di clandestinità migratoria, della quale è il prezioso frutto - e, fortunatamente, per lei, perfettamente integrato- che, ospite della trasmissione di Paolo Del Debbio ha preteso di decidere lei di cosa Giuseppe Cruciani sappia o non sappia parlare. Comportamento, gesti, aplomb e asserzioni che ben rappresentano l’emblema di quella prevaricazione pseudo intellettuale di tutta una schiera di persone - o congrega autoreferenziale - che la conoscenza delle cose, la ragione giusta, la scienza infusa ce l’hanno solo loro. Se poi volessimo parlare dell’eleganza con cui è stato esternato il tutto, senza scomodarsi a googlare il replay basta farsi un giro a Campo de’ Fiori in giorno di mercato. Uno dei tanti momenti di televisione - e di umanità - brutta.

Tertium e purtroppo datur, il cinguettio twitterino tra Vittorio Feltri e Lilli Gruber, un minuetto sgraziato a suon di vecchi rimbambiti e bambole di gomma che un po’ ci ha fatto rimpiangere i tempi di Celebrity Deathmatch, dove almeno i personaggi erano dei pupazzi veri.

Ultimo della serie, in molti sensi, l’attacco all’acido di Andrea Scanzi nel suo Identikit sul Fatto Quotidiano contro Daniele Capezzone, reo di essere un tappabuchi, un prezzemolino, un pio bovino dei pascoli catodici. Che, detto da uno che i finti alternativi sono sempre gli altri per mancanza - o forse eccesso - di specchi in casa, più che perplessi ci lascia preoccupati e vagamente dismorfofobici.

Quindi, per le elezioni in Emilia-Romagna che saranno il prossimo terreno di gioco del torneo ormai permanente faziosi contro denigrati, regalateci piuttosto una bella e potente gara di rutti, ugualmente triviale ma di certo più simpatica, più divertente e drammaticamente più edificante.

Aggiornato il 31 ottobre 2019 alle ore 12:33