La Torre di Babele dell’Editoria

Oggi in Italia, oltre a quello della Politica, dell’Economia, della Scuola, della Giustizia (e chi più ne ha più ce ne metta), anche il mondo dell’Editoria è nella più totale confusione. “Diverse lingue, orribili favelle, parole di dolore, accenti d’ira, voci alte e fioche e suon di man con elle…”: questo è l’inferno dell’Editoria. E dell’Italia intera. C’è chi dice che l’Editoria è in crisi, chi che è moribonda o che è già bella e morta, ma nonostante la crisi - dovuta agli e-book e al fatto che su Internet ormai si trova tutto, persino le traduzioni dal latino e dal greco dei testi stampati nei libri delle scuole (“colpa e vergogna de l'umane voglie”) - le case editrici nascono come i funghi, spesso avvelenati, perché nascondono imbrogli, raggiri, truffe e così via.
In mezzo a tanto fiorire di offerte e di lusinghe è difficile orientarsi e uno scrittore spende tempo e fatica nel cercare un editore che pubblichi un suo libro senza chiedergli preventivamente l’acquisto di un numero considerevole di copie. Con questo sistema chiunque può “fondare” una casa editrice e pubblicare libri a spese esclusive degli autori. Così l’editore non solo non rischia niente, quando il rischio in tutte le attività imprenditoriali c’è sempre stato, ma sfrutta l’ambizione di un autore, specialmente se si tratta di un esordiente, per guadagnarci sopra, infischiandosene del valore dei libri, che dovrebbero contribuire al progresso culturale del Paese. Basta che lo scrittore paghi, anticipatamente, il costo della stampa di un certo numero di copie, che possono arrivare a più di cento, e qualunque libro, anche il più scadente, viene pubblicato.
Ti attirano con l’inganno, tanto più deplorevole quando il numero delle copie stampate si limita alla cifra pagata dall’autore e tutto si ferma lì: niente distribuzione, niente pubblicità. C’è chi dice: “A questo punto il libro me lo faccio stampare direttamente io da qualunque tipografo e pago anche di meno. Giusto un numero di copie per gli amici”.
“In Italia tutti scrivono, cose ‘orrende’, per di più”, osservava diversi anni fa Giovanni Raboni. Ma gli Editori s’impegnano a fare aggiustare o correggere dalla loro Redazione i libri scadenti per trarne comunque un guadagno. “Il fare un libro è meno che niente se il libro fatto non rifà la gente”, diceva Giuseppe Giusti. Oggi invece in molti casi è il libro che se ha dei difetti viene “rifatto”, dall’editore, o da un suo redattore.
Ma capita anche che venga manomesso un buon libro di uno scrittore già affermato, per giunta a sua insaputa, con tagli, modifiche, aggiunte, commenti e addirittura con l’eliminazione di interi capitoli, solo perché la casa editrice non condivide certi giudizi, non dell’autore ma di altri, citati fra virgolette, e che per via di questo “lavoro” il redattore si arroghi il diritto di infilare il proprio nome (“a cura di…”) nel retro del frontespizio, violando una norma, riportata su Internet, che dice testualmente: “Non si tocca mai la ‘mano’ di chi scrive e firma il libro, e non si va a ribaltare ciò che appartiene ad altri. Dopo avere letto il testo, il redattore si mette in contatto con l’autore e gli fa presente con garbo i punti che a vario titolo presentano qualche difficoltà. Il lavoro deve svolgersi in una critica amorosa del testo, condotta con una umiltà che impedisca all’autore di sentirsi offeso. Gli editori italiani non usano gli editor, e quando li usano chiamano gente incapace”.
Accade anche che un libro scritto in coppia, da Tizio e da Caio, sulla cui copertina il nome di Tizio appare prima di quello di Caio (perché Caio ha voluto così), venga pubblicizzato come “il libro di Tizio”, senza il minimo accenno a Caio, con commenti di questo genere: “Il flusso narrativo è appannaggio esclusivo di Tizio, Caio si è limitato ad inserirvi la documentazione storica”.
Dopo la fortuna che ebbe nel Cinquecento con Aldo Manuzio in 20 anni di attività, con la stampa di circa 130 edizioni in greco, latino e volgare, la produzione libraria nel nostro paese rimase più o meno racchiusa al livello di “artigianato a conduzione familiare”. Nel tempo l’istruzione elementare obbligatoria aumentò il numero dei lettori che era piuttosto basso per via di un analfabetismo molto elevato. Verso il 1840 si ebbe un progressivo sviluppo tecnologico che cominciò a delineare meglio la figura dell'editore. Con l’Unità d’Italia il settore editoriale ebbe una spinta notevole e nel Novecento una certa crescita, ma sempre inferiore rispetto a quella degli altri paesi europei. Finché nel ventennio fascista vi fu una vera e propria esplosione nell’Editoria italiana, tanto che in un’intervista rilasciata alla rivista Primato il 1° marzo 1940 Galeazzo Ciano, dopo aver citato alcuni dati sulla crescita e sulla diffusione anche all’estero della nostra cultura, disse testualmente:
“Chi gira¬va il mondo anni fa vedeva di rado in una libreria straniera un libro italiano: oggi i paesi si contendono le nostre Mostre del Libro; la lingua italiana entra sempre più largamente nei programmi delle scuole straniere, mentre continua ininterrotta la gloriosa tradizione delle Accademie di arte e di storia”.
Oggi invece sono i libri stranieri che hanno fortuna in Italia, soprattutto romanzi, perché sono pochi gl’italiani desiderosi di farsi una cultura vera: preferiscono leggere i libri della Titti, giusto per fare un nome.
Un altro ostacolo nell’editoria italiana è costituito dalla impossibilità dell’autore (a meno che non ne sia amico) di parlare telefonicamente con l’editore e persino con un suo redattore: il centralino ti dà l’indirizzo della mail a cui inviare la proposta insieme al libro e ti avverte del tempo necessario perché tu possa ricevere una risposta in quanto devi fare la fila, mettendoti in coda, e attendere almeno cinque mesi (così scrive esplicitamente Fazi nel suo sito, ma c’è chi fa passare anche un anno e non ti risponde neppure). Altri ti avvertono: “Se entro nove mesi non riceve la risposta vuol dire che il libro non c’interessa”. E tu intanto che fai? Questo è anche il motivo per cui molti autori preferiscono pagare, anticipatamente, la stampa del libro, e chi, invece, a 94 anni, cioè con un piede nella fossa e con una marea di libri pubblicati, deve aspettare il suo turno, per sentirsi alla fine rispondere che “il libro è bellissimo, ma purtroppo c’è troppa cultura”, o che “si tratta di un poemetto e noi le poesie non le pubblichiamo perché non si vendono, ma comunque se lei ne paga la stampa glielo pubblichiamo”.
Così un editore ti risponde che “la proposta editoriale prevede l’acquisto preventivo, cioè prima della stampa, di 180 copie”, un altro, ancora più sfacciato, di una grande casa editrice, che devi versare un contributo di "€ 3.000,00 da saldare come segue: € 1000,00 entro il 30 gennaio 2016, € 1000,00 entro il 28 febbraio 2016, € 1000,00 entro il 30 marzo 2016".
Pure le grandi case editrici chiedono a volte un contributo, anche se l’autore è già affermato, quando nutrono dei dubbi sulla diffusione del libro, né mancano quelle che danno all’autore un congruo anticipo sulle vendite. Fra di esse ce n’è una che può essere definita una benemerita nel mondo dell’Editoria, perché da quando è nata ha dato e continua a dare un notevole contributo allo sviluppo della cultura in Italia con la diffusione dei suoi libri ad un pubblico quanto mai vasto, se si pensa che una sua opera omnia di ben 2040 pagine e con una eccezionale rilegatura, pubblicata nel 2015 nei cosiddetti Mammut, costava solo 15 euro.

Caro editore, sono amareggiato:
da mesi aspetto che tu mi risponda.
Una mail dietro l’altra t’ho mandato,
ciononostante tu mi fai la fronda.

Così vado dall’una all’altra sponda
del grande fiume dell’Editoria,
che trabocca, tracima e sovrabbonda
di presunzione e di millanteria.

Se da noi la cultura non c’è più
è pure colpa dell’Editoria,
che la manda oramai sempre più giù.
Ciò che pubblica spesso è porcheria,

ma fa soldi, ed è questo quel che conta.
Sforna libri su libri a pagamento
che non valgono un soldo alla rimonta
della cultura, e questo è un tradimento.

Aggiornato il 29 ottobre 2019 alle ore 14:40