Stop alla cannabis light: i dubbi dopo la Cassazione

La Cassazione a sezioni riunite si è pronunciata ieri pomeriggio (30 maggio 2019): “La commercializzazione di cannabis sativa e, in particolare, di foglie, inflorescenze, olio, resina, ottenuti dalla coltivazione della varietà sativa della canapa, non rientra nell’ambito di applicazione della legge 242 del 2016 che qualifica come lecita unicamente l’attività di coltivazione di canapa delle varietà iscritte nel catalogo comune delle specie di piante agricole”. Si specifica inoltre che viene integrato “il reato di cessione, di vendita e in genere la commercializzazione al pubblico, a qualsiasi titolo, dei prodotti derivati dalla coltivazione della cannabis sativa”. Però “salvo che tali prodotti siano in concreto privi di efficacia drogante”.

La decisione arriva dalle sezioni unite penali della Suprema corte che ha accolto il ricorso presentato da un pm di Ancona che si opponeva alla revoca del sequestro dei prodotti di un negozio.

In attesa di conoscere le motivazioni della sentenza che devono ancora essere rese note, già da oggi i più di mille gestori dei canapa shop sparsi per la penisola sono denunciabili oltre che perseguibili.

Senza voler considerare l’impatto economico della decisione (considerando che negli ultimi due anni il business dell’erba legale è stato in continua crescita ed ha consentito nuovi investimenti e posti di lavoro; che la Coldiretti stima ci siano almeno 4mila ettari in Italia coltivati a canapa da 2mila aziende agricole ed il Consorzio nazionale per la tutela della canapa industriale stima un giro d'affari nel 2018 di 150 milioni di euro), rimane da capire come interpretare quel “salvo che tali prodotti siano in concreto privi di efficacia drogante”.

Infatti la cannabis light contiene quantità di thc inferiori ai limiti di legge oltre i quali le sostanze si considerano stupefacenti. È stata la stessa Cassazione ha dire che sotto lo 0,5 per cento il thc non è droga. Inoltre, la legge sulla commercializzazione della canapa pone già agli agricoltori il limite di 0,2 per cento di thc e prevede conseguenze penali sopra lo 0,6. L’altro principio attivo presente, il cbd, è una sostanza rilassante che non è considerata droga in quanto prima di qualsiasi effetto psicotropo; per questo può raggiungere concentrazioni elevate in questo tipo di canapa.

I Radicali italiani osservano che “la legge 242/2016 che consente la coltivazione di canapa industriale, con il limite di thc allo 0,2%, non vieta espressamente la vendita di infiorescenze” ed “in uno Stato di diritto, ciò che non è espressamente vietato dalla legge è lecito”.

Aggiornato il 31 maggio 2019 alle ore 15:10