Diamo a Dio quel che è di Dio

lunedì 27 maggio 2019


L’intromissione della Chiesa nella politica (sia pure nella veste di un sacerdote) verificatasi il 19 maggio nella manifestazione in cui Matteo Salvini ha “brandito” il rosario - dicendo che “la politica di partito divide, mentre Dio è di tutti” (un gesto e una frase che hanno scandalizzato il direttore di un giornale cattolico, il quale ha deplorato che “rosari e crocifissi vengano utilizzati come segni dal valore politico, in maniera inversa a quella del passato, in quanto prima si dava a Dio quel che era di Cesare, mentre adesso Cesare impugna e brandisce ciò che è di Dio”, concludendo che “l’identitarismo nazionalista e sovranista intende fondarsi pure sulla religione per imporsi” - mi ha suggerito alcune riflessioni.

Il “peccato” attribuito a Salvini mi ha richiamato il “presunto” peccato di Adamo (dico presunto perché nella Genesi non ricorre questa parola, in quanto il “peccato” l’hanno inventato i Padri della Chiesa e lo si trova nel Vangelo di Giovanni, laddove Cristo dice: “Chi di voi è senza peccato scagli per primo la pietra”.

Ebbene, il peccato, che per la Chiesa è costituito soprattutto dal sesso, il cui uso nell’Antico Testamento è considerato un atto impuro anche se legittimato dal matrimonio (e ancora oggi una donna che ha partorito deve attendere qualche giorno, per purificarsi, prima di entrare in chiesa), dal latino “peccus”, significa “difetto” o mancanza di qualche cosa, che in sostanza è la perdita o un attenuarsi del senso dell’unità con Dio, o del senso del divino, che si produce nell’uomo quando Dio stesso s’incarna in lui. L’uomo, infatti, sarà pure fatto “a immagine e somiglianza di Dio”, ma sino ad un certo punto, poiché il nostro è un mondo materiale, relativo, caduco e passeggero. Per Sant’Agostino (che era di lingua latina) il “peccato” è un “bene che non ha raggiunto il suo scopo”, a cui “manca qualcosa” (così come per Socrate il male è graduale deficienza di bene, che arrivato a un certo punto nella sua discesa si trasforma in male), per Benedetto Croce il bene e il male sono “categorie della mente umana”, dovute a un “moto passionale cagionato da buono o da cattivo umore”.

Dio, dunque, non “caccia” Adamo ed Eva dall’Eden perché hanno commesso “un peccato”, li “allontana” da Sé, inviandoli sulla Terra, perché questo è il luogo a loro destinato e già previsto da Dio, che non è un improvvisatore e sa bene quello che fa e che farà, anche se non dà spiegazioni in quanto è l’uomo che deve trovarle, diversamente perché Dio l’avrebbe creato? O comunque sono spiegazioni di Mosè. Il quale, come gli altri profeti, non arrivava a certe sottigliezze (a cui arriva l’uomo di oggi) sicché interpretava la voce di Dio a modo suo. L’uomo è sempre alla ricerca e alla scoperta di Dio, e non sappiamo dove arriverà fra mille o diecimila anni. La frase di San Paolo “Tutta la logica di questo mondo è stoltezza davanti a Dio” si riferisce alla logica dell’uomo di allora, e San Paolo non poteva averla sperimentata “tutta” in quanto la logica, come la ragione, data all’uomo da Dio, è in continua evoluzione, così come il bambino si evolve sino a diventare un uomo maturo, e non è detto che l’uomo non possa, già in questo mondo, pervenire ad una conoscenza più alta di Dio, il quale lo ha creato a tale scopo.

D’altra parte quante manipolazioni, modifiche, tagli e aggiunte ha subìto la Bibbia, soprattutto l’Antico Testamento, nel lungo corso dei secoli? Che ne sappiamo, almeno per quel che riguarda il libro della Genesi, che cosa ha scritto esattamente Mosè (ammesso che ne sia lui veramente l’autore), il quale fra l’altro era balbuziente e si serviva del fratello Aronne come intermediario (quindi lui raccontava e Aronne scriveva, ma qualche volta avrà interpretato e scritto a suo modo certe espressioni di Mosè, il quale dunque, anche per questo motivo, non offre sufficienti garanzie sulla autenticità del testo che ci è pervenuto.

Anche in altre religioni si parla di fatti che sono narrati nella Bibbia, in particolare nella Genesi, che è il fondamento di tutto perché riguarda la “Creazione” (che alcuni hanno definito una “storiella per bambini”, altro che “Parola di Dio”, altro che “scientificità della narrazione”!). Anche nei testi sacri di altre religioni si parla di frutto proibito, di cacciata dell’uomo, di diluvio e così via. Già i pagani ne avevano parlato (è inutile che qui entri nei particolari, dirò solo che anche Zeus, il Giove latino, si arrabbiava e scagliava fulmini e saette contro gli uomini, e tale è rimasto nell’Antico Testamento). Il senso del peccato (non il peccato) è già presente nella religione dei pagani, dei Greci e dei Romani, come è presente nei bambini, istintivo, anche se non gli si pone alcun divieto, anche se li si lascia liberi di fare quello che vogliono. Bisogna dunque andarci cauti su queste cose, non possiamo pensare, come dice Dante, di “discriver fondo a tutto l’universo” nel corso di una vita. Ogni cosa a suo tempo. Io non pretendo che la mia visione di Dio, del Creato e dell’uomo sia quella giusta, ma posso dire che Dio lo sento come Teresa d’Avila nella sua estasi, che, stando a come lei la descrive, era un ‘coito mistico’ consumato con Dio, e come lo sentiva Spinoza, scomunicato dalla Chiesa perché, da panteista, sosteneva di sentire Dio anche col corpo: un “empio, di cui la terra mai non vide nulla di più dannoso, che sia maledetto giorno e notte, nel sonno e nella veglia, in casa e fuori, che l’Eterno mai non lo perdoni”. Si tentò persino di assassinarlo. Eppure non c’è stato filosofo che abbia amato Dio come l’amò Spinoza: “Ebbro di Dio” lo definì Novalis, e Cousin disse che aveva scritto “un inno mistico, un cantico dell’anima e del corpo”.

Individualmente è possibile arrivare a congiungersi con Dio, recuperare il senso del divino e dell’unità con Lui, ma un giorno vi arriverà l’intera umanità, perché questo è il fine ultimo dell’uomo.

Del resto la voce di Dio, la sua Parola, noi la sentiamo continuamente, ma quella Parola dobbiamo interpretarla (e non c’è bisogno che la Chiesa ci dica e addirittura c’imponga “come”, può farlo con i semplici, con gl’ingenui, non con persone come Matteo Salvini). Dio non può non parlare, se è la Parola per antonomasia, intesa non come espressione di un linguaggio umano, ma come un insieme di suoni (le vocali e le consonanti) che ogni uomo sente e interpreta secondo la sua sensibilità e la sua formazione mentale e spirituale. La Parola di Dio un pensatore indiano contemporaneo l’ha paragonata ai “dati” di un computer, o di un cellulare, che per mezzo di un programma particolare vengono decodificati e tradotti in lettere alfabetiche che costituiscono le nostre parole, in tutte le lingue del mondo. Ecco un “miracolo” su cui l’uomo ormai non si sofferma nemmeno. La vita umana è piena di “miracoli”, i quali non vengono dal nulla (come non ne viene la Creazione), ma sono opera della scienza, e tale è Dio, il sommo Scienziato, il sommo Artefice di tutte le cose. Fra religione e scienza, come fra religione e politica e tutti gli altri campi (gli Indiani l’hanno capito subito) non c’è quella inconciliabilità che sostiene la Chiesa: la religione (dal lat. re-lego) ci “lega” a Dio anche scientificamente: non lo sentiamo forse coi nostri sensi? E che cosa sono i sensi, che cosa è l’uomo, che cos’è la Creazione se non un fatto scientifico?

Dio, dunque, non caccia Adamo ed Eva dall’Eden (per chi l’aveva creata la Terra se non per gli uomini?), li manda a lavorare (“lavorerai la terra col sudore della tua fronte”, dice ad Adamo, e ad Eva: “Partorirai con dolore”). Che poi Mosè ci metta dentro la rabbia di Dio e faccia sembrare, deliberatamente, per spaventare gli Ebrei, che quello sia un castigo, sono fatti suoi, io non sono obbligato a credere quello che mi dice e che m’impone di credere la Chiesa, o che hanno scritto i suoi Padri. Quello che io ne ricavo è che Adamo ed Eva erano destinati a procreare (“prolificate” gli dice Dio, come agli animali): potevano mai restare in un “giardino”, per quanto grande fosse, immortali e procreare altri esseri, immortali anch’essi con tutti i loro discendenti, quando chi nasce, anche se creato da Dio, è destinato necessariamente a morire? Miliardi di miliardi di miliardi di persone, immortali, che non avrebbero trovato spazio nemmeno sulla Terra. Dio, perciò, crea Adamo ed Eva mortali in partenza, come l’intero universo: la frase “Non mangiare il frutto di quell’albero altrimenti morirai” fa pensare che Mosè volesse dire agli Ebrei, come dice spesso, “Non allontanatevi da Dio altrimenti Lui vi farà morire”. E quanti non ne fa uccidere da Dio! Ma è concepibile, specialmente oggi, un siffatto Dio? Dio sa bene quel che accadrà. Le arrabbiature, le minacce, le maledizioni, i divieti di Dio sono le arrabbiature, le minacce, le maledizioni e i divieti di Mosè, utilizzati a suo uso e consumo; il suo parlare, il suo continuo dire “Dio mi ha detto” è tutta un’invenzione di Mosè, magari in buona fede, perché allora quella era la visione di Dio, un Dio che ha una faccia (Mosè dice di parlare con Dio “faccia a faccia”), una bocca, da cui spesso escono carboni accesi, un naso, da cui escono nuvole di fumo, e si arrabbia a tal punto che Mosè una volta gli dice: “Calmati!”. Non scherziamo, via!

Dio nel plasmare l’universo, o meglio nel dare una forma visibile e concreta alla sua sostanza stessa, che è invisibile (come l’energia allo stato puro o come l’etere che ci circonda, che è Dio stesso nella sua dimensione assoluta), non può dire “Questo è buono”, “Questo non è buono”, “Non è bene che Adamo resti solo”, non può avere ripensamenti, non può pentirsi di quello che ha fatto, addirittura di aver creato l’uomo, e, dopo aver distrutto Sodoma e Gomorra, mandare sulla terra un diluvio che spazzi via l’intera umanità (30 milioni di persone, ha scritto qualcuno), tranne Noè e i suoi familiari, dice Mosè, perché capiva che qualcuno, fra gli uomini e gli animali, doveva restare vivo, altrimenti il discorso era chiuso, la storia finiva lì.

Quanto al fatto che Dio dice ad Adamo “lavorerai la terra”, e non altro, è perché allora, ai tempi di Mosè, quello era in gran parte il lavoro dell’uomo. Da lì, o soprattutto da lì, la Chiesa ha tratto il concetto che l’uomo sia servo di Dio. Un Dio padre-padrone che tratta le sue creature come degli schiavi, perché dipendono da Lui, e la Chiesa è ancora ferma a questa immagine, persino i suoi sacerdoti e i suoi “ministri” sono “servi di Dio” (compreso il Papa?). Come se Dio avesse detto ad Adamo: “Lavorerai la terra, e siccome la terra è cosa mia, tu e tutti i tuoi discendenti sarete miei servi”. Quando ci libereremo, e soprattutto quando la Chiesa si libererà, e ci libererà, da questa assurda immagine di Dio, tanto più perché Cristo stesso, stando al Vangelo di Giovanni, dice agli uomini: “Voi siete dèi?”.

Sono tante le anticaglie da cui gli uomini, e principalmente la Chiesa, devono liberarsi. Quanti tradimenti nei confronti di Cristo ha commesso e continua a commettere la Chiesa “cristiana”! L’uomo è Dio stesso che opera nella sua veste umana: quella di Dio è una creazione continua, come dice Tehilard de Chardin (anche lui scomunicato come Spinoza e definito dalla Chiesa il “gesuita proibito”, il “fatiscente eretico che si congiunge a Dio panteisticamente, anche col corpo”. Una “creazione continua” affidata all’uomo (che è sempre Dio), dunque nel mondo non ci sono né servi né padroni.

Per concludere, tornando alla manifestazione del 19 maggio e alla presunta strumentalizzazione della religione da parte di Salvini, vorrei dire che proprio la Politica nel gioco dialettico di Dio (che è la sua vera creazione perché l’universo è nato dalla sua sostanza stessa) è di quel gioco l’espressione più alta e più completa, per via dei dibattiti, dei confronti e delle contrapposizioni che la caratterizzano, e nella quale dunque rientra anche la religione.

Se ciò non basta, ecco che cosa faceva nel 1948 la Chiesa durante la campagna elettorale per sostenere la Democrazia Cristiana che correva il rischio di perdere alle elezioni superata dal partito comunista. È un manifesto che in quel periodo lessi sui muri di una chiesa e che trascrissi letteralmente, parola per parola, dopo aver visto che nelle chiese ai lati dell’altare spiccava il simbolo dello scudo crociato:

“Qualsiasi cittadino, uomo o donna, è gravemente tenuto a votare se no commette un peccato mortale. Chi dà il voto alle liste che contengono candidati di parte comunista fa peccato mortale e resta escluso dai Sacramenti. Dunque ogni fedele davanti a Dio deve dare il suo voto solo alle liste e ai candidati che offrano sicura garanzia di rispettare la morale cattolica secondo i dogmi della nostra religione, sia nella vita pubblica e privata che nella educazione dei ragazzi. Non si adempie al dovere di cui sopra quando, pure votando, si disperde l’efficacia del voto che si è dato”.

 

Questi sono i pasticci di una Chiesa

che si crede l’immagine di Dio

sulla Terra, e che già Savonarola

definiva “ribalda” e “meretrice”.


di Mario Scaffidi Abbate