Erasmus plus e il successo dei giovani studenti europei

venerdì 24 maggio 2019


C’è chi parte per imparare una nuova lingua, chi per approfondire ricerche o passioni maturate sui libri. Chi, addirittura, per assaporare quel gusto di libertà esperienziali immaginate e tanto desiderate tra i banchi del liceo fino a qualche anno prima. Tutti, sicuramente, dopo aver firmato la domanda di adesione al programma europeo Erasmus si saranno sentititi più europei e meno isolati.

Già, perché il programma Erasmus - acronimo di European Region Action Scheme for the Mobility of University Students, istituito nel 1987 - ha ideato, formato e sviluppato generazioni di giovani cittadini europei accomunati da un unico grande sogno: la formazione universitaria transfrontaliera.

Poi, nel 2013, l’Unione europea ha esteso questo progetto con Erasmus plus (programmi per l’Istruzione, la Formazione, la Gioventù e lo Sport 2014-2020) prevedendo al contempo finanziamenti non solo a università e istituti di formazione, ma anche a partenariati innovativi, le cosiddette “alleanze della conoscenza” e “alleanze delle abilità settoriali”, che costituiscono sinergie tra il mondo dell’istruzione e quello del lavoro.

Pochi giorni fa la Commissione europea ha pubblicato i risultati di due studi indipendenti (realizzati su 500 organizzazioni, 77mila studenti e membri del personale universitario) sull’incidenza di questo programma e sui principali beneficiari. Ebbene, i risultati dimostrano che Erasmus+ non solo contribuisce a preparare i giovani europei alla nuova era digitale ma li aiuta soprattutto nella loro futura carriera professionale. Come? Rafforzando la capacità di innovazione delle università, la loro internazionalizzazione, migliorare i metodi di insegnamento e apprendimento, nonché la loro attitudine a rispondere ai bisogni del mercato del lavoro. Nello specifico, più del 70 per cento degli ex studenti Erasmus dichiarano di conoscere meglio il tipo di carriera che vogliono dopo il ritorno dall’estero. L’80 per cento, inoltre, ha trovato un lavoro entro tre mesi dalla laurea, con il 72 per cento che ritiene come l’esperienza all’estero abbia contribuito a ottenere il primo posto di lavoro.

E ancora. Nove ex studenti Erasmus su dieci dichiarano che le competenze e le esperienze acquisite all’estero siano indispensabili per il loro lavoro quotidiano. Più del 90 per cento degli ex studenti dichiara che l’esperienza ha permesso loro di migliorare la capacità di lavorare e collaborare con persone di culture diverse e sviluppando un forte senso di identità europea. Oltre l’80 per cento degli accademici, poi, riferisce come l’esperienza all’estero abbia portato allo sviluppo di programmi di studio più innovativi. Positivo anche l’impatto di Erasmus+ su inclusione sociale e identità europea: due università partecipanti su tre hanno dichiarato che i progetti europei hanno contribuito a evitare casi di discriminazione e intolleranza tra i ragazzi.

La ricerca, infine, testimonia come siano gli studenti dei paesi dell’Est quelli che più si riconoscono nell’Ue, a dimostrazione di come il processo di integrazione europeo abbia portato benefici non solo economici, ma anche sociali e culturali.

Un’ultima osservazione. Erasmus+ sembra avere un impatto anche sulla vita personale. Infatti, uno studente su cinque risponde di aver incontrato il proprio partner durante il periodo di soggiorno all’estero. Probabilmente anche questo sarà stato uno dei tanti desideri immaginati prima della partenza.


di Mauro Mascia