La forte volontà della volontaria

giovedì 23 maggio 2019


È di pochi giorni fa la notizia di una dottoressa di 71 anni già, direttore di struttura complessa – una volta si sarebbe detto primario ed ognuno avrebbe subito capito – di anestesia e rianimazione che, per fare fronte alla grave carenza di anestesisti presso l’ospedale veneto dove aveva svolto la sua attività professionale prima di andare in pensione, ha deciso di rimettersi il camice e tornare gratis nelle sale operatorie per prestare la propria opera professionale. Ammettiamolo, è emozionante! 

Ma è davvero una bella notizia? Proviamo ad analizzarla in maniera cruda, anche avvalendoci di specifici regolamenti aziendali, insieme al dottor Luciano Cifaldi, segretario della Cisl Medici Lazio.

La gratuità delle prestazioni professionali rese dalla anestesista è di per sé motivo di compiacimento per la generosità che sottende questa scelta. Infatti, già solo andando a buttare un’occhiata su un qualsiasi regolamento della aziende sanitarie relativamente alla frequenza nei reparti ospedalieri di volontari è comune leggere che “lo svolgimento della frequenza a titolo di volontario è svolto a titolo assolutamente gratuito e non comporta in nessun caso l’instaurazione del rapporto di impiego o di prestazione d’opera professionale con l’Azienda sanitaria locale, con la conseguente esclusione di qualsiasi rapporto di subordinazione gerarchica e di retribuzione e non può, conseguentemente, comportare alcun riconoscimento giuridico ed economico. Tutto ciò in ossequio all’articolo 5, comma 9, del decreto legge 95-2012 (come modificato dall’articolo 6 del decreto legge 90-2014 e poi l’articolo 17, ultimo comma, legge 124-2015) che prevede come le Pubbliche amministrazioni non possano conferire, a titolo oneroso, a soggetti già lavoratori pubblici e privati collocati in quiescenza: a) incarichi di studio e di consulenza; b) incarichi dirigenziali o direttivi.

Di riconoscimenti economici dunque neanche a parlarne. Di riconoscimenti giuridici la dottoressa non avrà sicuramente bisogno. Pensiamo che otterrà ampia riconoscenza da parte degli assistiti cui fornirà prestazioni specialistiche adeguate ad una lunga esperienza professionale.

In discussione non è il criterio economico ma il rispetto della normativa vigente. Sempre sbirciando tra i vari regolamenti capita di leggere che “la frequenza volontaria è consentita a scopo didattico formativo ed al fine di rendere disponibili le conoscenze e le esperienze teoriche e pratiche presenti all’interno dell’azienda stessa. Dunque la dottoressa non dovrebbe poter svolgere attività quali intubare, sedare, somministrare farmaci e qualsiasi altra attività che comporti esclusiva responsabilità diretta o autonomia decisionale, dovendosi limitare a svolgere attività didattica ma non in qualità di docente verso i più giovani ed inesperti colleghi, bensì in qualità di discente e sempre sotto la costante supervisione e responsabilità del tutor aziendale formativo-didattico. Inoltre, le è vietato di rilasciare alcuna certificazione per conto dell’azienda.

Ci sono regolamenti nei quali si afferma che “azienda si riserva, in ogni caso, di agire nei confronti del volontario, anche in rivalsa, ricorrendone i presupposti”. Anche quest’ultimo deterrente tuttavia non ha piegato la volontà della dottoressa.

Ritengo, in analogia a quanto accade in aziende di cui ho conoscenza, che per accedere al volontariato, l’anestesista veneta ha inoltrato una specifica domanda ed ha sicuramente allegato le copie di polizze assicurative appositamente stipulate per infortuni e polizza assicurativa per invalidità permanente o morte conseguenti ad infortuni o malattie occorsi al frequentatore volontario nel periodo di frequenza autorizzato e dovrebbe avere presentato una ulteriore polizza assicurativa Rc per gli eventuali danni arrecati ai terzi nel predetto periodo.

Dunque, l’anestesista volontaria deve pagarsi di tasca propria una assicurazione per eventuali danni verso terzi. Si dirà che tanto l’assicurazione ce l’ha sicuramente se vuole svolgere privatamente la professione.

Però non sembra essere questo il punto. Perché la notizia, riportata da una testata giornalistica, nulla evidenzia a tale proposito ed è ragionevole ritenere che la dottoressa possa non svolgere alcuna altra attività al di fuori del volontariato ospedaliero.

Il balletto delle cifre relative alle polizze, nei diversificati regolamenti, è più dinamico di un tango e più variabile delle condizioni atmosferiche di questo maggio 2019. In un regolamento si riporta che “il massimale assicurato deve essere minimo di 650mila euro così ripartito: 150mila per infortuni (invalidità permanente e morte); 500mila per responsabilità civile verso i terzi. Il volontario deve essere in possesso di polizza infortuni integrata da copertura per rischio radiazioni, nel caso di frequenza presso strutture organizzative che utilizzano apparecchi generatori di radiazioni”.

Ecco, ci mancavano le radiazioni ionizzanti. In effetti, gli anestesisti sono una categoria esposta alle radiazioni che evidentemente non costituiscono motivo di preoccupazione per la dinamica dottoressa che, pur controllata dal servizio di prevenzione e protezione, ne deve avere assorbite parecchie quando era in piena attività.

Ma ecco che arriva la perla del regolamento – ricordate Nino Frassica quando a fronte di un dubbio diceva a Renzo Arbore che andava al regolamento? – dove si evidenzia che “la frequenza volontaria non è sostitutiva di manodopera aziendale o di prestazione professionale e i frequentatori volontari non possono essere impiegati per l’espletamento di compiti estranei rispetto a quelli di tipo formativo e didattico”.

Sono note le gravissime carenze di medici nei nostri ospedali. Peraltro è fatto assoluto divieto al direttore responsabile di Area dipartimento-distretto-uoc-osd di sostituire personale dipendente con il frequentatore stesso. Ci mancherebbe altro visto che il frequentatore volontario deve sempre agire con la presenza-supervisione del tutor aziendale formativo-didattico e in nessun caso essere affidato a servizi di guardia o sostituzione. L’argomento è di scottante attualità: un sindacato confederale come la Cisl Medici deve puntare alla massima occupazione avendo come primario obiettivo l’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro ed il mantenimento dei livelli occupazionali. Il ricorso ai pensionati può trovare giustificazione in fasi di autentica emergenza come quella attuale ma allora, in questo quadro, bisogna avere il coraggio di modificare l’assetto normativo e di favorire prestazioni di tipo non certo volontaristico ma mediate da piattaforme specifiche di prestazioni di servizi. È compito della politica, questo.

Se poi il frequentatore dovesse conquistare la fiducia del paziente guai a dimostrargliela poiché “il frequentatore volontario non può intraprendere rapporti libero professionali con gli utenti della struttura pubblica durante l’espletamento del periodo di frequenza, pena la decadenza immediata”.

Ma se questa è la situazione, se così stanno le cose, lei riesce ad immaginare la autentica motivazione che ha spinto un medico in pensione, per di più una specialista in anestesia e rianimazione che è una specialità tra quelle maggiormente stressanti e rischiose, a volersi rimettere il camice bianco e a tornare nei corridoi dei reparti e nelle sale operatorie a 71 anni mentre avrebbe potuto godersi serenamente la pensione?

È l’amore per questa splendida professione che è l’esercizio della medicina, nonostante aggressioni, violenze, denunce infondate, accuse di malasanità, turni stressanti.

È possibile che non tutti i laureati in medicina vivano in pieno l’essere medico. Ma a noi pazienti-cittadini-utenti piace pensare che quel camice bianco al quale affidiamo la nostra salute, e spesso la nostra vita, sia uno di quelli che ancora ritengono che fare il medico sia una missione.

@vanessaseffer


di Vanessa Seffer